giovedì 26 gennaio 2023
La riscoperta di Gino Ravenna, atleta ebreo che prese parte ai Giochi di Londra del 1908. Suo fratello era il podestà fascista di Ferrara ma la loro famiglia fu vittima dell’Olocausto
Gino Ravenna (1889-1944) tra gli atleti della Palestra Ginnastica Ferrara in cui militava quando andò alle Olimpiadi di Londra 1908

Gino Ravenna (1889-1944) tra gli atleti della Palestra Ginnastica Ferrara in cui militava quando andò alle Olimpiadi di Londra 1908 - Archivio Palestra Ginnastica Ferrara

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Sostiene Liliana Segre, amaramente ma a piena ragione, che il pericolo dell’oblio sia sempre dietro l’angolo, soprattutto con il passare degli anni, quando inizia a farsi strada il subdolo pensiero che, in coincidenza del Giorno della Memoria, porta le persone ad avere a noia le storie delle vittime della Shoah. Eppure, in direzione ostinata e contraria a questa tendenza, è da premiare il lavoro di chi riesce a riportare alla luce vicende umane che rischiano di perdersi, come tante si sono perse. Come quella del ginnasta ferrarese Gino Ravenna, che prese parte ai Giochi di Londra 1908 ottenendo un sesto posto nel concorso a squadre ed è, a quanto è possibile stabilire oggi, l’unico atleta italiano già partecipante alle Olimpiadi ad avere trovato la morte nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, dove erano finiti come lui diversi ex sportivi connazionali di origine ebraica, ma non solo. Ad averla riscoperta, un paio di anni fa, è stato Mirko Rimessi, consigliere di Palestra Ginnastica Ferrara (la stessa che, a marzo, ospitò diversi atleti della nazionale di ginnastica ucraina), membro della Società italiana di storia dello sport e già tedoforo nel 2018 nel cammino della torcia olimpica in Corea del Sud, che ha potuto riannodare i fili di questa storia accedendo agli archivi della società e a un libro dedicato alla famiglia Ravenna, della quale solo il figlio di Gino, Eugenio, sopravvisse al campo di sterminio, grazie alla liberazione russa del 27 gennaio 1945.

Ora, i Giochi della IV Olimpiade sono ricordati in Italia per la figura di colui che non vinse, Dorando Pietri, ma rappresentarono qualcosa di epocale per la città di Ferrara e per la ginnastica italiana. Posto che si trattò solo della seconda Olimpiade alla quale partecipò una rappresentativa nazionale, a essere scelti per rappresentare l’Italia nel concorso generale di ginnastica artistica a squadre 29 atleti della Pgf, la Palestra Ginnastica Ferrara appunto, che aveva vinto le selezioni nazionali. C’erano anche, in quella squadra, Pietro Bragaglia, primo portabandiera italiano ai Giochi e Gino Ravenna, i quali contribuirono a un sesto posto nel concorso generale – allora il programma olimpico della ginnastica si componeva solo del concorso a squadre e di quello individuale, dove fu il modenese Alberto Braglia a vincere la medaglia d’oro – che non portò allori, ma encomi sì, tanto per il metodo quanto per l’onore portato al Paese e alla città, al punto che i nazionali della Pgf furono accolti in trionfo tra ali di folla al ritorno a Ferrara. Ravenna, nato nel 1889, allora non aveva ancora compiuto vent’anni ed era un allievo del professor Alfonso Manarini, uno dei grandi maestri della Pgf. La sua passione sportiva sarebbe stata sospesa dallo scoppio della Prima guerra mondiale, al termine della quale si dedicò al commercio. Dei suoi cinque fratelli uno, Renzo, fu podestà di Ferrara dal 1926 al 1938, uno dei due soli podestà fascisti di origini ebraiche in Italia prima dell'introduzione delle leggi razziali, che lo avrebbero poi costretto a rinunciare alla carica, mentre Gino venne escluso, come tutti gli ebrei, anche da associazioni e circoli.

Dopo l’8 settembre e l’arresto del figlio Eugenio, un mese più tardi, la vicenda della famiglia Ravenna coincide con quella di numerose altre: il tentativo di fuga, l’arresto (a Domodossola), l’incarcerazione, il rastrellamento, il trasferimento nel campo di Fossoli, il treno numero 8 per Auschwitz, un viaggio durato quattro giorni (dal 22 al 26 febbraio 1944), l’uomo che diventa un numero, 174.541, e gli eventi che lo avrebbero portato alla morte il 30 aprile 1944. Il figlio Eugenio, detto Gegio, avrebbe fatto ritorno a Ferrara il 15 settembre 1945, e proprio la sua storia avrebbe poi ispirato Giorgio Bassani: il Geo Josz del racconto Una lapide in via Mazzini prende infatti spunto dalla vicenda di Eugenio Ravenna, cugino di secondo grado dello scrittore. Ravenna risulta essere al momento l’unico atleta olimpico italiano di origine ebrea ucciso nel campo di sterminio nazista, ma lo sport italiano ha pianto diversi ragazzi i quali, imprigionati per svariati motivi, sono poi morti nei lager. Vittima della Shoah fu un altro ginnasta italiano che partecipò ai Giochi, vincendo peraltro la medaglia d’oro nel concorso a squadre alle Olimpiadi di Stoccolma 1912 e Anversa 1920, il bresciano Paolo Salvi, che da Fossoli venne portato a Mauthausen quale detenuto politico, quindi nel sottocampo di Grossraming e poi a Schlier-Redzipf. Morì proprio a Mauthausen, secondo una comunicazione del comando tedesco al comune di residenza per «mitragliamento aereo del nemico», e il suo nome è accanto a quelli dei calciatori partigiani Vittorio Staccione, Carlo Castellani (che morirono a Gusen) e Icilio Zuliani (Buchenwald), o del pugile ebreo Leone Efrati. Storie che vale la pena riscoprire, ricordare, citare. E no, non possono venire a noia.

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