giovedì 26 agosto 2021
Il presidente della Pontificia Accademia per la Vita invita a non svalutare la vita per la sua condizione di debolezza facendosi piuttosto vicini a chi soffre senza "lavarsi le mani" dando la morte
Paglia: serve togliere il dolore, non legalizzare l’eutanasia
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«La “debolezza” (anche grave) dell’essere umano permette di vivere e non solo di sopravvivere solo se ci prendiamo cura gli uni degli altri». Lo scrive l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, replicando su Famiglia Cristiana alla tesi, al centro della campagna referendaria, per cui condizioni gravi di salute e di sofferenza renderebbero la vita non degna di essere vissuta aprendo così all’eutanasia. Paglia teme che «cresca l’assuefazione a una concezione “vitalistica” della vita» al di fuori della quale chiunque «può essere eliminato». Questa posizione è stata dipinta in modo caricaturale come «ira del Vaticano», mentre sono osservazioni serie con cui fare i conti: «In realtà – scrive Paglia – la posizione della Chiesa è animata dalla responsabilità di comunicare una convinzione che riguarda valori fondamentali per la convivenza umana». Ora occorre che «su temi delicati e cruciali come quello dell’eutanasia ci sia un effettivo dialogo e una conoscenza adeguata da parte di tutti: ciascuno (realtà religiose comprese) deve poter esprimere le proprie opinioni». Che però spesso sono silenziate, specie se in grado di ridimensionare la narrazione della libertà assoluta. Va capito, ad esempio, «se il soggetto che chiede l’eutanasia vuole davvero morire o solo che gli venga tolto il dolore», perché «là dove questo è stato chiarito la domanda di eutanasia è calata drasticamente. Si deve dire, inoltre, che oggi la scienza prevede cure che tolgono il dolore provocato da qualunque tipo di malattia o infermità fino alla fine». Intanto «le cure palliative vanno garantite a tutti e gratuitamente».
In Italia, ricorda Paglia, «già da ora è possibile morire senza essere torturati dal dolore». Piuttosto «dobbiamo stare attenti a non lavarci le mani con una legge sull’eutanasia che rischierebbe di estendere una “sentenza di morte” a livello generalizzato». Né «la Chiesa» né alcun «umanesimo da Ippocrate in poi» possono «accettare di “togliere la vita” a nessuno». Ricordando che «un conto è "uccidere" (questa è l’eutanasia), altra cosa è "lasciar morire"» evitando l’«accanimento terapeutico».

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