lunedì 8 aprile 2024
René Frydman, il ginecologo che in Francia fece nascere nel 1982 la prima bimba concepita in provetta, smaschera nel suo libro-verità tutti gli eccessi del mercato della procreazione
Quando il figlio diventa un prodotto: la “tirannia della riproduzione”
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«Volevo fare un bilancio, ma soprattutto guardare al futuro. Nel campo della procreazione ci sono buone evoluzioni, ma altre, problematiche, richiedono una riflessione urgente. Come ginecologo, mi preoccupo della vera vita, non degli slogan». In Francia il professor René Frydman è una celebrità dal 1982, quando divenne il “padre scientifico” di Amandine, prima bambina transalpina nata con la fecondazione assistita. Ma oggi, con l’intenso volume La Tyrannie de la Reproduction (Ed. Odile Jacob), intende mettere in guardia sui rischi ed eccessi crescenti del presunto “diritto al figlio”, fra spinte tecniche e nuovi business: «Cerco di spiegare che c’è un lato positivo e uno negativo in molte pratiche. L’autoconservazione degli ovociti, ad esempio, non funziona sempre e non è la panacea, anche se è consigliato preventivamente in particolare per le donne costrette a sottoporsi a trattamenti per il cancro, che colpiscono la produzione di gameti. Con il tempo ho compreso quanto sia importante coltivare la chiarezza e riflettere sui limiti etici. Ciò che era invisibile oggi è visibile. Ciò che era intoccabile oggi è manipolabile. Ma quanto è possibile non è sempre auspicabile».


Perché ha scelto un titolo così forte, parlando di “tirannia della riproduzione”?
Ogni situazione d’infertilità è complessa. In certi casi si vuole un figlio a ogni costo, anche finanziario, ma non basta schioccare le dita per realizzare un desiderio. Lungo la mia carriera ho sempre più riflettuto su questa sorta di ossessione, talora anche maschile, che può persino sfociare in forme d’accanimento. Ho visto tanti esaurirsi, distruggersi, dimenticare la vera vita. Molti si lasciano tiranneggiare dal bisogno di rispondere a una richiesta sociale, coniugale, familiare, economica. Ho visto donne, prese in questo vortice chiuso, che dopo una fecondazione in vitro faticosamente riuscita hanno finito persino per abortire.
Lei si schiera da sempre risolutamente contro la maternità surrogata. Perché?
Comprendo i desideri di ogni coppia, e in proposito su molti media è sempre questo versante che viene messo in risalto. Ma molto spesso la surrogata è praticata a scapito di un’altra persona: la donna chiamata a separarsi dal bambino e firmataria di un contratto che è un’appropriazione della vita altrui, conducendo all’asservimento e allo sfruttamento. Come nel caso della prostituzione, non mi convince affatto l’argomento delle donne che sarebbero libere di scegliere. Tutt’attorno si è costituita una sorta di mafia onnipresente di avvocati e medici, con la violazione problematica di tanti princìpi, come quello del divieto di affittare o vendere un corpo. Se si accetta questo, cosa può impedire di passare in fretta alla vendita di organi, un rene o un occhio, e così via? Si entra in una zona di commercializzazione del corpo, in particolare della donna, di assoggettamento dell’altro, di perdita della dignità.


Fra l’altro, lei ricorda tutte le nuove ricerche sulla relazione simbiotica fra corpo della madre e nascituro...
Sì. Ed è pure questo a evidenziare certe contraddizioni flagranti. Quando si ricorre al dono di ovociti da parte di un’altra donna si dice alla donna che conduce la gravidanza che è la madre, proprio in nome dei legami biologici stretti durante nove mesi. Nella surrogata si sostiene esattamente il contrario. Nonostante i legami durante la gravidanza, si dice alla partoriente che non è la madre. C’è dunque qualcosa che non va. Si distorcono i fatti in funzione dell’ideologia che si vuole difendere.
Lei sostiene che la “legge del più forte” ha fatto irruzione in campo procreativo. Cosa intende?
In Asia meridionale, solo per fare un esempio, si sono già visti medici influenti che hanno quasi costretto alcune infermiere a cedere i propri ovociti. Si tratta di una tendenza all’assoggettamento di altri che si rafforza. Fra l’altro, sebbene se ne parli poco, possono divenire difficilmente sostenibili pure le pressioni esercitate su certi medici. Medici a cui si chiede di diventare esecutori dei servizi pretesi.
Lei evoca pure la frontiera dei trapianti d’utero. Anch’essi non sfuggono a rischi?
Ho lavorato personalmente su questi progressi, che possono rivelarsi talora formidabili. Ma occorre comprendere quanto ciò sia gravoso. Per questo mi colpisce che certi siti Internet asiatici propongano questo atto medico estremo senza offrire chiaramente le garanzie basilari, anche etiche. Su questo fronte mi pare giusto proseguire, ma senza cadere in trappole pericolose.
Oggi si fa strada anche l’ipotesi dell’ectogenesi, la nascita fuori dall’utero materno. Un altro campo minato...
Si specula molto sull’utero artificiale, ma una separazione completa dal corpo materno mi pare utopica. Più concretamente, si sta studiando l’ectogenesi tardiva, rivolta ai grandi prematuri, persino ai nascituri ancor prima delle 22 settimane, attraverso una fase di transizione fuori dall’utero, all’interno di cosiddette biobag già da tempo allo studio. Sono sviluppi sorprendenti, certo, ma in fondo lo fu all’epoca pure il trapianto di cuore. In questi casi si tratta di salvare delle vite, e si resta nel perimetro medico. Ma occorreranno valutazioni molto delicate anche sugli effetti, come quelle in corso sulle modalità del trapianto d’utero. Senza dimenticare che nella medicina ci sono stati passi indietro necessari, anche rispetto a innovazioni premiate addirittura con un Nobel, ma che si sono rivelate poi deleterie.


Lei considera pure che ogni forma di clonazione riproduttiva aprirebbe la porta all’eugenismo...
Il contrario sarebbe impossibile. Considerarsi una perla rara al punto da riprodursi da soli, inoltre, condurrebbe rapidamente al transumanesimo, ovvero al tentativo di “migliorare”, per così dire, certe qualità. Vi è in ciò sempre una valorizzazione ipertrofica al contempo dell’ego e della genetica. È ad esempio probabile che certi magnati, se potessero riprodurre sé stessi senza apporti esterni, magari con qualche piccola correzione, lo farebbero. In modo estremamente nefasto, ciò ridurrebbe lo spazio di libertà dell’umanità, anche in termini di possibili modifiche delle caratteristiche della specie umana.
Il tecnicismo rischia di prendere il sopravvento sulla riflessione?
I medici si ritrovano spesso nello stretto corridoio dei numerosi aspetti tecnici della riproduzione assistita, rischiando così di perdere di vista la dimensione umana. Certo, si può dare la stessa dose di ormoni ai pazienti. Ma le reazioni non saranno le stesse, anche perché ogni storia personale e intergenerazionale è unica. In questa forma di sensibilità e di riconoscimento della specificità di ciascuno si rivela pure la chiave del curare ancora all’insegna dell’umanesimo. È indispensabile apprendere bene come fare, ma è necessario pure non dimenticare mai di chiedersi, assieme al paziente, verso quale scopo preciso e ragionato s’intraprende un certo percorso medico. In proposito, conoscendo tanti buoni medici, resto ottimista, ma pure vigile.

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