martedì 17 agosto 2021
Al raggiungimento delle 500mila firme per il referendum sul "diritto di morire" annunciato dai promotori radicali reagiscono le sigle associative laicali impegnate sulla vita umana
Eutanasia verso il referendum? Associazioni cattoliche in campo
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Di eutanasia e delle alternative per non arrendersi alla sua logica di morte si occupano da anni. Così il raggiungimento della quota di firme per chiedere l’indizione di un referendum, annunciato lunedì dai promotori radicali, non ha certo spiazzato le associazioni di ispirazione cristiana che si occupano di dignità della vita, anche se ora la prospettiva diventa una possibile campagna referendaria. Come per l’aborto nel 1981 e la fecondazione assistita nel 2005, entrambi spartiacque per il mondo cattolico. L’oggetto ora è l’articolo 579 del Codice penale che punisce l’omicidio del consenziente, baluardo legale contro la "morte a richiesta".

«Nelle nostre case-famiglia accogliamo bambini anencefalici, ciechi, sordomuti, in possesso solo delle funzioni vegetative. Li curiamo con amore e dedizione per tutta la durata della loro vita – commenta l’Associazione Papa Giovanni XXIII –. Queste persone svolgono una missione unica che rende più umana l’umanità. Per questo diciamo che la nostra società deve avere un rispetto sacro delle loro vite, indipendentemente dalle condizioni fisiche, psichiche, spirituali, e non spingerle a farsi da parte come avviene in tutti i Paesi in cui l’eutanasia è stata legalizzata».

Di «un’altra nube scura che i radicali fanno piombare sul nostro Paese» parla Marina Casini Bandini, presidente del Movimento per la Vita, notando che «la mentalità eutanasica è già tutta ricompresa nella cultura abortista. Si tratta sempre di negare il valore della vita umana nell’estrema fragilità. L’autodeterminazione è il paravento che serve a legittimare la cultura dello scarto, a tutto danno della vera libertà e dell’autentica solidarietà, dentro un impasto di paura, ignoranza, solitudine, scarsità di aiuti, carenza di risposte adeguate ai reali bisogni. Malattia e disabilità gravi fanno paura a tutti e nessuno vorrebbe averci a che fare». Ora si deve «realizzare una mobilitazione generale, in unità di intenti e di strategie, senza dispersioni, protagonismi e chiusure reciproche, che fronteggi questa nuova ondata ideologica contro la vita umana per rilanciare ancora più in alto il valore di ogni uomo, sano o malato che sia».

All'opera è una «deriva eutanasica figlia di una deriva individualistica libertaria» secondo Alfredo Mantovano, del Centro studi Livatino, a parere del qiale «non ci si può illudere di fermarla con qualche dichiarazione di sdegno» poiché occorre «un coraggioso e non episodico impegno culturale e di vita vissuta». Sotto accusa «l’inerzia di Camera e Senato – nella prima è anzi in discussione una legge pro eutanasia –, dai cui banchi si sono levate rare voci per alleviare la sofferenza, per esempio dando attuazione alla legge sulle cure palliative, invece che sopprimere chi patisce». Mantovano ricorda che «l'accelerazione sull'eutanasia parte tre anni fa, quando la Corte costituzionale intervenendo la prima volta nel cosiddetto caso Cappato indicò al Parlamento la strada per riformare l'articolo 580 del Codice penale sull'aiuto al suicidio. Poi è venuta la sentenza della stessa Consulta, nel 2019, che ha riscritto quella norma dettando le condizioni per non punire l'uccisione di chi lo chiede, fino a giungere a qualche giorno fa, con l'annuncio del ministro della Salute Roberto Speranza» che ha annunciato di voler rendere quella sentenza «più estesamente operativa con una circolare alle Asl».

Il presidente di Scienza & Vita Alberto Gambino, intervistato dall’agenzia Sir, auspica che «il dibattito sulla legge sul fine vita sia maturo» e che «ognuno faccia la sua parte: i partiti di sinistra siano attenti alla solidarietà e alle fragilità ed evitino che una norma possa diventare il grimaldello per conculcare i diritti dei più fragili, lasciati a se stessi; le aree più moderate riaffermino i valori antropologici dell’importanza della vita umana in chiave di diritto costituzionale. Se così fosse, forse si potrebbe trovare un punto d’incontro». L’importante «è non appiattirsi sulla posizione radicale, che segue il mito dell’autodeterminazione, un falso, perché nei casi di maggiore fragilità le persone non sono affatto autodeterminate» ma condizionate «da contingenze» o «da altre persone» che le spingono «verso l’esito finale».

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