Perché la maternità surrogata è mercificazione, non libertà
Il Rapporto delle Nazioni Unite fa definitiva chiarezza e segna un punto di svolta sulla “surrogacy” nel nome dei diritti umani, contro ogni forma di sfruttamento e di contratto sulla vita umana

Sono diverse le novità del dibattito internazionale che si è riaperto recentemente sulla maternità surrogata, a partire dall’espressione univoca usata per la pratica con cui una donna può legalmente cedere ad altri un figlio appena partorito, secondo accordi precedentemente contrattualizzati. L’unico termine usato è infatti l’inglese surrogacy, traducibile con maternità surrogata o surroga, o surrogazione di maternità: meglio di circonlocuzioni più o meno edulcorate, come gravidanza o gestazione per altri, e relativi acronimi.
Importante, poi, il modo in cui è partito il confronto: un consesso di autorevolezza internazionale quale l’assemblea generale delle Nazioni Unite, dove è stato appena presentato un rapporto su questa pratica; ma soprattutto è rivoluzionario il contesto in cui il documento è stato elaborato, che è quello della violenza contro le donne. A curare il rapporto è stata infatti Reem Alsalem, nominata nel 2021 dal Consiglio dei Diritti umani dell’Onu Relatrice Speciale sulla violenza contro le donne e le ragazze, le sue cause e conseguenze.
La tesi dell’esperta delle Nazioni Unite è sintetizzata nelle conclusioni: «La pratica della maternità surrogata è caratterizzata dallo sfruttamento e dalla violenza contro le donne e i bambini, comprese le ragazze. Essa rafforza le norme patriarcali mercificando e oggettivando il corpo delle donne ed esponendo le madri surrogate e i bambini a gravi violazioni dei diritti umani».
In altre parole, la surrogacy in quanto tale è una delle diverse forme di violenza contro le donne e i loro bambini e quindi, al pari degli altri tipi di violenza, non se ne possono addurre giustificazioni chiamando in causa un presunto consenso delle vittime.
Con il rapporto della relatrice speciale per la prima volta si rovescia il discorso pubblico sui diritti individuali portato avanti finora per giustificare e regolamentare la maternità surrogata e, proprio in nome dei diritti umani, si chiede invece di eradicare questa pratica a livello internazionale. Dal testo emerge infatti una visione del diritto e della libertà individuale radicalmente diversa da quella che adesso va per la maggiore, secondo la quale – per dirla in uno slogan – “la mia libertà finisce dove inizia la tua”, per cui ogni scelta personale riguardante il proprio corpo è insindacabile, purché effettuata in completa autonomia; un’autonomia che dovrebbe essere garantita dalla stipula di un contratto con tutti i soggetti “liberamente” coinvolti. La surrogacy cancella la relazione fra un bambino e la sua mamma, sostituendola con un contratto di cui Alsalem smaschera il tratto violento dal punto di vista economico, psicologico, fisico e riproduttivo. Nel paragrafo significativamente titolato “Schiavitù e tratta” si dice chiaramente che la regolamentazione e il monitoraggio delle pratiche di surroga non ne riducono i rischi, e d’altra parte fin dall’inizio si riconosce che essa, nelle diverse forme in cui viene autorizzata, non può che essere commerciale, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Basti pensare che, secondo il Rapporto, alla madre surrogata arriva fra il 10 e il 27,5% del costo totale della pratica: il resto è per le cliniche e le agenzie specializzate, cioè per medici, biologi, avvocati e intermediari, i professionisti necessari per realizzare i percorsi di surrogacy che, tra l’altro, per via della loro articolazione complessa, coinvolgono strutture e soggetti di Paesi diversi.
Ed è solo la tempistica del contratto a distinguere la maternità surrogata dalla compravendita di bambini: in tutto il mondo, infatti, la cessione dietro compenso di un bambino già nato, o comunque da parte di una donna già incinta, viene sanzionata come reato, mentre diventa lecita, regolamentando la surrogacy, quando la stessa viene contrattualizzata prima del concepimento. Ma non è ammissibile riconoscere e sanzionare la vendita di un essere umano solo nel primo caso, in base ai tempi in cui avviene. È quindi la surroga in quanto tale a costituire una violazione dei diritti dei bambini che ne nascono. Per garantirne il miglior interesse, il Rapporto suggerisce di riconoscere il genitore biologico e consentire l’adozione da parte del partner, evitando automatismi nello stabilire chi sono i genitori legali.
Le raccomandazioni della relatrice speciale sono, insomma, pienamente in linea con il quadro normativo italiano, il che conferma l’Italia all’avanguardia nei diritti umani, specie nella battaglia contro la violenza su donne e bambini.
© RIPRODUZIONE RISERVATA






