«Fermate la Ru486 a casa», «no, l’embrione è un ammasso di cellule»
Alla Regione che inneggia ai “successi” della pillola abortiva, che ormai causa il 73% degli aborti, replica l’opposizione: il concepito non è un rifiuto da water. E la polemica diventa frontale

Un post pubblicato su Facebook dalla Regione-Emilia-Romagna il 10 luglio riaccende la discussione sulla somministrazione della Ru486. Lo scritto, pubblicato sui social istituzionali, esalta i successi della procedura di somministrazione domiciliare dell’aborto farmacologico, in uso dal 2024, osservando che nel 97,2% dei casi non si sono verificate complicanze.
Ormai in Regione il 73% delle interruzioni di gravidanza (Ivg) avviene con questa modalità. Oltre 1.100 i like raccolti a ora, ma molti commenti sono di segno opposto, tra chi sottolinea la solitudine delle gestanti e chi il diritto del bambino a nascere. Questo post si inserisce nella polemica nata nei giorni scorsi dalle parole del consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Priamo Bocchi, che in Assemblea legislativa ha detto che «alla donna si consente di abortire da sola nel bagno di casa, espellendo il feto e tirando lo sciacquone». Parole ritenute «violente e inaccettabili», addirittura «bestialità offensive» dalla collega di Alleanza Verdi Sinistra (Avs) Simona Larghetti, che ha definito l’embrione un ammasso di cellule, asserendo che non tutte le donne considerano l’aborto un dramma.
La consigliera Marta Evangelisti di Fratelli d’Italia ha difeso la posizione del collega Bocchi e la libertà di manifestazione delle associazioni pro-vita, definite invece «pressioni» dalla dem Alice Parma, che ha proposto, per evitare questo, «una normativa nazionale come quella già adottata in altri Paesi europei, per istituire zone di accesso sicuro intorno a ospedali e consultori», perché le donne che vi accedono possano farlo «senza influenze esterne, spesso invadenti nei modi».
Anche il 5 Stelle Lorenzo Casadei si è scagliato contro le associazioni pro-vita, definendo le loro iniziative «violenze psicologiche» e «attentati alle salute» delle donne, ma anche «molestie e intimidazioni». Insomma, in Regione Emilia-Romagna il tema dei diritti scalda sempre gli animi. Nei giorni scorsi, infatti, il Comune di Parma aveva revocato la campagna di affissioni anti-Ru486 dell’Associazione Pro Vita & Famiglia onlus: l’Assessore regionale alle Politiche per la salute, Massimo Fabi, pur non essendo competente sulle affissioni, aveva ribadito «la totale infondatezza scientifica e la pericolosità sociale della campagna contestata».
Pronta la replica dell’associazione Pro Vita & Famiglia: «La propaganda abortista, pur di banalizzare l’aborto (che resta sempre la soppressione di una piccola vita), rischia di abbandonare ancora di più le donne. Con la Ru486 aumenta la possibilità tragica di riconoscere il figlio espulso nel water o su un assorbente: un piccolo essere umano, con arti, testa e occhi già formati. Chi difende davvero la salute e la libertà delle donne non può accettare questo abbandono. Serve informazione, aiuto, compassione, sostegno economico e sociale. La verità deve tornare al centro del dibattito. Violenta è la verità sull’aborto. Non chi la racconta».
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