Dio non sta all'ufficio reclami: si lamenta chi ha fede e speranza
È solo un'impressione, ma mi sembra che i titoli che hanno presentato le parole di Francesco all'udienza generale di mercoledì, a proposito del lamentarsi con Dio come forma di preghiera, abbiano trovato una speciale sintonia nei pensieri che agitano i nostri sonni e le nostre veglie in questa fine d'anno. Me lo suggeriscono l'unanimità delle maggiori fonti di informazione religiosa online, dove la principale sfumatura corre fra i tre verbi usati dal Papa – lamentarsi, lagnarsi, lottare; così pure le quantità di like e di condivisioni riscontrate sulle relative pagine Facebook; lo dicono infine le riprese viste su un paio di blog d'autore.
La sottolineatura di Francesco, che ha dedicato l'intera catechesi ad Abramo e alla virtù della speranza, non doveva suonare così nuova alla coscienza credente; e c'è da credere, come testimonia il Papa stesso riferendo della sua esperienza di confessore, che a tanti sia già capitato di «lamentarsi con Dio», pur senza essere così sicuri che una tal preghiera suonasse gradita alle orecchie del Padre. E allora come spiegare un'eco tanto pronunciata?
Scoprirò l'acqua calda se dirò che, ragionevolmente, non saranno pochi quelli che, stilando il proprio personale bilancio del 2016 e/o consultando i tanti offerti dai media, vi avranno trovato motivi per lagnarsi, peggio se in carenza di grandi o piccole speranze. Chi meglio di Dio dietro al banco dell'ufficio reclami? Non è il Papa stesso che ci incoraggia a restituire la merce “difettosa”? E qui passa la differenza tra leggere solo un titolo (come qualcuno pare aver fatto, a giudicare dal commento depositato sui social network), leggere l'intero articolo o addirittura andare al testo integrale della catechesi, facilmente accessibile a tutti ( tinyurl.com/gumx28p ). Perché Francesco mostra che il lamento di Abramo è tutt'altro che disperato o sfiduciato, e anzi conduce alla «preghiera di avere speranza», alla quale Dio risponde con il rinnovo della promessa. Altro che restituire la merce.
La sottolineatura di Francesco, che ha dedicato l'intera catechesi ad Abramo e alla virtù della speranza, non doveva suonare così nuova alla coscienza credente; e c'è da credere, come testimonia il Papa stesso riferendo della sua esperienza di confessore, che a tanti sia già capitato di «lamentarsi con Dio», pur senza essere così sicuri che una tal preghiera suonasse gradita alle orecchie del Padre. E allora come spiegare un'eco tanto pronunciata?
Scoprirò l'acqua calda se dirò che, ragionevolmente, non saranno pochi quelli che, stilando il proprio personale bilancio del 2016 e/o consultando i tanti offerti dai media, vi avranno trovato motivi per lagnarsi, peggio se in carenza di grandi o piccole speranze. Chi meglio di Dio dietro al banco dell'ufficio reclami? Non è il Papa stesso che ci incoraggia a restituire la merce “difettosa”? E qui passa la differenza tra leggere solo un titolo (come qualcuno pare aver fatto, a giudicare dal commento depositato sui social network), leggere l'intero articolo o addirittura andare al testo integrale della catechesi, facilmente accessibile a tutti ( tinyurl.com/gumx28p ). Perché Francesco mostra che il lamento di Abramo è tutt'altro che disperato o sfiduciato, e anzi conduce alla «preghiera di avere speranza», alla quale Dio risponde con il rinnovo della promessa. Altro che restituire la merce.
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