Una multa Ue e la scintilla della guerra fredda digitale
Perché una multa contro una big tech (nemmeno la prima), in questo momento storico è stata indicata da molti osservatori e tecnologi come l’inizio di una guerra fredda digitale?
Perché una multa contro una big tech (nemmeno la prima), in questo momento storico è stata indicata da molti osservatori e tecnologi come l’inizio di una guerra fredda digitale? Tutto è iniziato venerdì scorso quando l’Unione Europea ha inflitto a Google una multa di 2,95 miliardi di euro per aver violato le sue leggi sulla concorrenza nell’ambito del settore delle tecnologie pubblicitarie. Secondo la Commissione Europea, la big tech di Mountain View ha sfruttato le sue dimensioni e la sua posizione dominante per controllare il settore del cosiddetto display advertising e, di fatto, escludere i rivali concorrenti. Furiosa è stata la reazione del presidente degli Stati Uniti, che ha definito la multa «molto ingiusta» e ha minacciato di lanciare contro l’Europa una Sezione 301, che si può considerare il primo passo per imporre dazi commerciali verso l’Europa. Ma anziché sedare l’Europa, le intimidazioni del presidente americano ne hanno rafforzato la sua determinazione, e hanno trasformato la situazione in quello che gli americani chiamano “chicken game”, una sfida per vedere chi cederà per primo. In questo solco si è posizionata la sanzione da 325 milioni di euro arrivata dalla Francia sempre ai danni di Google, per violazioni della privacy in Gmail e utilizzo improprio dei cookie. Un altro modo per l’Ue per mostrare di non voler farsi intimidire dagli Stati Uniti. Secondo Johnny Ryan, direttore di Enforce, un’unità dell’Irish Council for Civil Liberties che monitora i diritti umani sulle grandi piattaforme digitali, quella descritta non è solo una crisi economica, né si limita a dazi e sussidi.
È uno scontro sui fondamenti stessi della governance democratica: «Gli Stati Uniti sanno che il potere non si misura solo in termini di potenza militare o di produzione economica, ma anche in termini di controllo sulle informazioni e sulle infrastrutture. Minacciando sanzioni per il rispetto del diritto europeo, Washington sta testando se l’Europa in futuro tollererà quest’uso della forza, queste intimidazioni in nome dell’alleanza». Stiamo assistendo allo «scontro di due mondi: la visione europea di un mercato digitale che è basato sulle regole, le pari opportunità, la protezione dei consumatori» da un lato, e quella americana basata semplicemente sul raggiungimento della «supremazia tecnologica come estensione del potere nazionale, che va difesa quindi come qualunque asset a ogni costo, anche con la guerra» ha spiegato il professor Matteo Flora che insegna Fondamenti di Sicurezza delle AI. Al centro dello scontro non ci sono più solo la concorrenza o la privacy, ma la sovranità digitale: chi detterà le regole nel mondo digitale in futuro? È questa la domanda centrale. Dieci anni fa, il Regolamento generale sulla protezione dei dati è stato emanato per restituire il controllo sui dati ai cittadini.
Ma l’Irlanda, in quanto giurisdizione di riferimento per le multinazionali, è diventata un canale per l’evasione normativa. E la Commissione europea chiuse un occhio. Nello stesso periodo, la frammentazione del mercato unico europeo e la visione ristretta della Commissione in materia di applicazione delle norme sulla concorrenza consegnarono ad aziende straniere il mercato digitale dell’Unione. Il risultato è stato quello che vediamo oggi, un’Europa dipendente dalla big tech straniere, la maggior parte delle quali americane, ormai abituate a operare impunemente. C’è modo per l’Europa di scrivere una storia diversa sul futuro di internet? Resta da vedere se le minacce di Trump si trasformeranno in azioni concrete (dazi doganali, ndr) e al tempo stesso se l’Unione europea manterrà questa linea dura e coordinata per salvaguardare il suo mercato digitale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA




