Albero vivo
Fugge, Dafne, fugge pur di sottrarsi all’amore di Apollo che la assedia e la minaccia, lei che vorrebbe restare da sola, vergine, regina di boschi e di silenzi. Fugge ma sta per essere presa, ed è allora che il padre, da lei invocato con disperazione, le viene in aiuto e la trasforma. Forse perché ogni volta torna in mente la magnifica versione marmorea di Bernini, la trasformazione di Dafne in albero è tra le metamorfosi di Ovidio per molti la più rapinosa, più “visibile” in senso plastico, materico. Dettagli: appena compiuta la metamorfosi, cinto dall’abbraccio di Apollo, il petto di lei che «trepida ancora sotto la corteccia fresca”. La pressione esercitata da Apollo che con foga «stringe i rami come fossero membra». Lui nel gesto di imprimere baci sul fusto, ma persino quello si sottrae, per come può, legnoso si divincola nel tentativo di sfuggire a quella possessiva follia d’amore. Di più ancora, sensazionale e talmente viva, l’immagine dell’alloro del fogliame dell’albero nel mentre annuisce ascoltando le parole d’amore di Apollo. «L’alloro annuì con i rami appena formati, e agitò la cima, quasi assentisse col capo». Immagini e parole meravigliose, per come raccontando il portento di una trasformazione restano umane, vicine. Vicine a noi, travolti dalla forza della metamorfosi. © riproduzione riservata
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