Non si spegne la dignità del popolo dell'Ecuador
Il 22 settembre ha segnato l'inizio di un nuovo capitolo della storia del Paese. Uno sciopero nazionale ha aperto la protesta contro le misure economiche imposte dal presidente Daniel Noboa
Il 22 settembre ha segnato l'inizio di un nuovo capitolo della storia dell'Ecuador. Uno sciopero nazionale ha aperto la protesta contro le misure economiche imposte dal presidente Daniel Noboa. Quella che era iniziata come una reazione al ritiro del sussidio per il gasolio si è presto trasformata in una voce collettiva che chiede giustizia, dignità e il diritto a una vita che non si misura solo in numeri, ma in umanità. Le strade, le vie rurali, i quartieri e le piazze del Paese sono diventati scenari della resistenza. Le comunità non sono uscite solo per protestare, ma per ricordare che esistono, che hanno memoria e che non si rassegnano a un futuro senza speranza. Sotto i colori dei loro poncho e delle loro wiphala, contadini, studenti, lavoratori, ambientalisti e collettivi sociali hanno marciato con l'obiettivo di recuperare la parola dello Stato e difendere la vita in tutte le sue forme. Questa resistenza è sostenuta dall'eredità vivente di due donne che hanno cambiato la storia: Dolores Cacuango e Tránsito Amaguaña. Con la loro forza e perseveranza, hanno aperto i sentieri lungo i quali oggi camminano le nuove generazioni. «Siamo come la paglia della brughiera, che viene tirata su e ricresce», diceva Cacuango. E così, il popolo ecuadoriano si rialza sempre, sfidando l'oblio. Amaguaña ha ricordato: «Gli indigeni non sono rimasti ad aspettare un aiuto che sappiamo non arriverà mai». Il suo messaggio risuona in ogni slogan e in ogni passo di chi capisce che resistere è anche amare il bene comune. Ma la dignità ha un prezzo. Negli ultimi giorni i telegiornali hanno mostrato immagini di repressione, arresti arbitrari, feriti e morti. Un manifestante è stato vittima di un proiettile; le strade si sono riempite di gas e di paura. La presenza militare, senza controllo civile, fa rivivere i fantasmi del passato e lascia una ferita aperta nella memoria collettiva del Paese. Da diversi settori, voci nazionali e internazionali denunciano l'uso eccessivo della forza e una politica di scontro anziché di dialogo. L'Ecuador non affronta solo una crisi economica, ma anche una crisi etica e sociale. Violenza, criminalità organizzata, omicidi su commissione e l'avanzata dell'estrattivismo legale e illegale hanno preso piede in un territorio che sogna la pace. In questo scenario, i popoli continuano a ricordare le parole di Berta Cáceres, la leader honduregna assassinata per la sua difesa dell'ambiente: «Il colonialismo si è trasformato in megaprogetti, in imprese estrattive, in governi che continuano a cedere territori». Da spazi diversi, i popoli dell'Ecuador si sono uniti in una causa comune, cioè, fermare il saccheggio della natura, fermare l'espropriazione e chiedere un futuro in cui i diritti della terra e di coloro che la abitano non siano negoziabili. Non si tratta solo di rifiutare le misure economiche, ma di affermare un modello di vita in cui la giustizia, l'equità e il rispetto per la vita siano al centro. La storia dell'Ecuador ha dimostrato più volte che il suo popolo sa resistere. La disponibilità al dialogo è ancora viva, ma la pazienza ha dei limiti. I leader delle comunità lo ripetono chiaramente: la parola promessa deve trasformarsi in azione, in leggi e politiche che garantiscano una vita dignitosa, l'autonomia dei territori e il riconoscimento dei diritti collettivi. L'Ecuador è ancora in lotta. Dalle comunità più remote alle università e agli spazi urbani, si sta tessendo una rete di speranza. Oggi tutto il Paese guarda avanti con la sua capacità di resistenza. Le voci che si levano non chiedono privilegi, ma giustizia sociale e pace. E mentre il conflitto infuria ancora nelle strade, una cosa è certa. La dignità di un popolo non può essere messa a tacere. Che questa lotta non si dissolva nei titoli dei giornali o si perda nella fugacità delle notizie. Che possa risvegliare le coscienze e tessere nuove solidarietà di fronte al clamore delle comunità che oggi continuano a camminare con dignità. Perché quando un popolo difende la vita, chiama tutti noi a fare lo stesso: a resistere con speranza, a prendersi cura e a tenere accesa la speranza che si apre in ogni crepaccio.
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