Jannik nella foresta, un “rito di passaggio”

May 6, 2025
Tre mesi sono passati e Jannik Sinner si appresta a tornare in campo senza che sia cambiata la sua leadership in vetta al ranking mondiale, riposando come non gli accadeva da tempo, avendo lavorato sul fisico, magari curando qualche dettaglio tecnico che, nel vortice dei viaggi e delle competizioni, forse non ci sarebbe stato tempo di mettere a fuoco. Inoltre rientrerà sulla terra rossa di una Roma bellissima in questi giorni, con il Foro Italico pronto ad accogliere il tennis, un nuovo campo dentro allo splendido scenario dello Stadio dei Marmi e un altro in Piazza del Popolo, a una cinquantina di metri dai capolavori del Pinturicchio e Caravaggio. Si presume che, quando Jannik scenderà in campo, Roma lo abbraccerà come solo lei sa fare: insomma, sembrerebbe un quadro idilliaco, come se tutto fosse allineato per permettere a Sinner di mettersi definitivamente alle spalle una clamorosa ingiustizia e riprendere la sua corsa meglio di prima. Mi auguro che sia così, naturalmente. Tuttavia, in virtù di tanti anni passati nello sport, devo ricordare a tutti gli addetti ai lavori, osservatori, tifosi che i risultati non sono solo frutto di logica e raziocinio e che gli sportivi, prima di essere atleti sono uomini e donne. Chi guarda dall’esterno si aspetta che un certo tipo di risultato sia quasi matematico, ma così non è mai. Ogni prestazione necessita di fisicità, talento, programmazione, lavoro e, naturalmente, anche di un aspetto mentale. Jannik Sinner ha già dato dimostrazione di una solidità pazzesca anche da questo punto di vista, soprattutto nell’ultimo anno, giocando e vincendo con dentro una zavorra che avrebbe affondato chiunque. Eppure, quello che il nostro campione ha passato, da fuori non si può vedere. Questi tre mesi non sono stati una vacanza ma una specie di prova di iniziazione che ha reso tutto più chiaro, incluse le infelici, talvolta perfide, dichiarazioni di qualche collega atleta, che lasciamo nell’anonimato in quanto non meritevole di citazione, e la fine di una luna di miele con chi ricopriva di elogi Jannik, perché era comodo (e utile) così. Questi tre mesi sono stati il “periodo liminare” che l’antropologo Arnold Van Gennep ha descritto nel suo celebre I riti di passaggio, pubblicato nel 1909. Quel periodo, insomma, che è la fase di sospensione che precede il cambiamento definitivo, il cambio di status, come quando un ragazzino deve abbandonare il villaggio di cui fa parte, passare un periodo da solo nella foresta, per poi tornare trasformato in uomo, e parte a tutti gli effetti della sua tribù. Ecco, ricordiamoci tutti – lo scrivo prima dell’inizio del torneo di rientro – che Sinner non è stato “a riposo” ma in un luogo “simbolico”, dove ha combattuto con i leoni, ha riconosciuto con chiarezza amici e nemici, ha provato il dolore della separazione, è passato attraverso una condizione necessaria di discontinuità con il “prima”. Nulla sarà più come “prima”: speriamo tutti che possa essere addirittura meglio, ma niente è scontato. E allora mi rivolgo a tutti i post-veggenti (figura che abbonda nel mondo dello sport), coloro che dopo la fine di un match hanno sempre la soluzione o il consiglio giusto su ciò che andava fatto. Accogliete il rientro di Sinner solo con due sentimenti: affetto e rispetto. Perché lui ha vissuto quella transizione, discontinuità, dolore, ingiustizia. Voi, no. © riproduzione riservata

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