Il più antico epico pareggio e quello eroico di Gimbo
La più antica cronaca sportiva di cui abbiamo traccia è nel libro XXIII dell'Iliade. Si tratta della dettagliata descrizione degli agoni sportivi che Achille organizza in memoria di Patroclo. Per onorare l'amico ucciso da Ettore e per trasformare il dolore straziante di quel lutto in energia, forza, vigore, Achille fa sedere i suoi uomini in cerchio e organizza una corsa con i carri, un combattimento di pugilato, uno di lotta, gare di corsa, di getto del peso, di tiro con l'arco e lancio del giavellotto. Una parentesi sportiva, una sorta di profondo respiro che fa dimenticare l'orrore della guerra, la nostalgia per i compagni caduti sul campo, le atrocità del conflitto.
Achille organizza quei giochi mettendo in palio lance, corazze, spade, cavalli e alcune donne destinate a diventare serve. Il livello di competizione è altissimo, perché ogni greco, come sostiene il filosofo Friedrich Nietzsche in un breve saggio che si intitola "L'agone omerico", è quasi ossessionato dall'idea di prevalere sui suoi avversari: «Essere sempre il primo e il migliore di tutti!», così Peleo aveva esortato il figlio Achille a partecipare alla spedizione contro Troia. L'agone greco per Nietzsche è una fiamma che si nutre del confronto, della competizione e che ha un solo scopo: eccellere, vincere, essere il più bravo.
La parola greca agon rimanda allo scontro, ma in realtà non divide gli uomini; semmai li costringe alla relazione e al confronto, li accomuna nello stesso desiderio di competere. Uno dei significati di agon è riferito al luogo della competizione, lì dove atleti e spettatori si riuniscono, proprio come si fa nell'agorà. Nonostante vincere sia un imperativo, nella cronaca omerica dei Giochi dedicati a Patroclo c'è spazio per il primo episodio di pareggio della storia dello sport. La sfida fra Aiace Telamonio e Odisseo nella lotta termina pari: «Non insistete, non vi sfinite di pene: la vittoria è d'entrambi; premi uguali prendendo andate, ché possano gareggiare anche gli altri» scrive Omero nell'Iliade, affidando queste parole ad Achille.
Gianmarco “Gimbo” Tamberi proprio oggi compie trent'anni e a lui vogliamo dedicare questo piccolo omaggio, dopo le incredibili emozioni che lui ha regalato a noi, esattamente dieci mesi fa. Chissà se il nostro atleta azzurro e il suo amico-avversario Mutaz Essa Barshin hanno mai realizzato di essere stati i protagonisti del più epico pareggio della storia, dopo quello di Aiace Telemonio e Odisseo. Un pareggio che in realtà è una vittoria moltiplicata per due. Tamberi e Barshin, prima di quella medaglia d'oro a Tokyo, avevano condiviso tutto: il sogno di vincere, il grande dolore e lo smarrimento dell'infortunio e, infine, la gioia più grande.
Vincere non è (solo) il risultato finale, ma il diventare consapevoli dello sforzo, della fatica, del dolore necessario per arrivare al successo. D'altra parte, agon, oltre a indicare l'idea di “comunità”, ha la stessa radice che tiene insieme agonismo e agonia. Competizione e dolore (necessario). Confronto e fatica. Ce lo insegnavano gli eroi Greci, che lo hanno ricordato, lo scorso 1° agosto, due saltatori in alto. Ancora qualcuno convinto che lo sport non sia l'epica del ventunesimo secolo?
Auguri Gimbo, eroe epico moderno. Buon trentesimo compleanno.
Achille organizza quei giochi mettendo in palio lance, corazze, spade, cavalli e alcune donne destinate a diventare serve. Il livello di competizione è altissimo, perché ogni greco, come sostiene il filosofo Friedrich Nietzsche in un breve saggio che si intitola "L'agone omerico", è quasi ossessionato dall'idea di prevalere sui suoi avversari: «Essere sempre il primo e il migliore di tutti!», così Peleo aveva esortato il figlio Achille a partecipare alla spedizione contro Troia. L'agone greco per Nietzsche è una fiamma che si nutre del confronto, della competizione e che ha un solo scopo: eccellere, vincere, essere il più bravo.
La parola greca agon rimanda allo scontro, ma in realtà non divide gli uomini; semmai li costringe alla relazione e al confronto, li accomuna nello stesso desiderio di competere. Uno dei significati di agon è riferito al luogo della competizione, lì dove atleti e spettatori si riuniscono, proprio come si fa nell'agorà. Nonostante vincere sia un imperativo, nella cronaca omerica dei Giochi dedicati a Patroclo c'è spazio per il primo episodio di pareggio della storia dello sport. La sfida fra Aiace Telamonio e Odisseo nella lotta termina pari: «Non insistete, non vi sfinite di pene: la vittoria è d'entrambi; premi uguali prendendo andate, ché possano gareggiare anche gli altri» scrive Omero nell'Iliade, affidando queste parole ad Achille.
Gianmarco “Gimbo” Tamberi proprio oggi compie trent'anni e a lui vogliamo dedicare questo piccolo omaggio, dopo le incredibili emozioni che lui ha regalato a noi, esattamente dieci mesi fa. Chissà se il nostro atleta azzurro e il suo amico-avversario Mutaz Essa Barshin hanno mai realizzato di essere stati i protagonisti del più epico pareggio della storia, dopo quello di Aiace Telemonio e Odisseo. Un pareggio che in realtà è una vittoria moltiplicata per due. Tamberi e Barshin, prima di quella medaglia d'oro a Tokyo, avevano condiviso tutto: il sogno di vincere, il grande dolore e lo smarrimento dell'infortunio e, infine, la gioia più grande.
Vincere non è (solo) il risultato finale, ma il diventare consapevoli dello sforzo, della fatica, del dolore necessario per arrivare al successo. D'altra parte, agon, oltre a indicare l'idea di “comunità”, ha la stessa radice che tiene insieme agonismo e agonia. Competizione e dolore (necessario). Confronto e fatica. Ce lo insegnavano gli eroi Greci, che lo hanno ricordato, lo scorso 1° agosto, due saltatori in alto. Ancora qualcuno convinto che lo sport non sia l'epica del ventunesimo secolo?
Auguri Gimbo, eroe epico moderno. Buon trentesimo compleanno.
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