Il Duomo e la prostituta
Ogni volta che entro nel Duomo di Milano rimango incantato dalla severa imponenza del luogo e penso a quanto la sua costruzione sia stata un’impresa collettiva. Migliaia di persone hanno offerto contributi per l’elevazione di un monumento che rendesse omaggio alla Madonna e gloria a Dio. Lungo i secoli centinaia di donazioni, in gran parte provenienti dal popolo, hanno consentito di continuare i lavori di edificazione cominciati nel 1386. Gente d’ogni genere, perfino chi aveva il volto di una prostituta: è il caso di Marta de Codevachi, conosciuta come “Donona” e divenuta ricca grazie al suo mestiere, finché un giorno decise di cambiare vita e dopo una grave malattia chiamò un notaio e stabilì di devolvere i suoi averi alla Veneranda Fabbrica del Duomo. Con due clausole: che 100 fiorini fossero utilizzati per far crescere Venturina, una neonata lasciata alla “ruota” dove venivano abbandonati gli orfani e che lei aveva adottato, e che altri 200 fossero lasciati in dote a Margherita, un’ex collega conosciuta al bordello, perché cominciasse una vita “casta e onesta”. Quando Marta morì, la Fabbrica organizzò funerali degni di una nobildonna, e un corteo di chierici e presbiteri accompagnò il feretro lungo le strade dove un tempo la donna aveva venduto amore profano. A lei è dedicata una delle statue che adornano il Duomo. © riproduzione riservata
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