Abbracciosa
Elisabetta si definisce una donna “abbracciosa”. Un neologismo che descrive il suo modo di lavorare e di vivere: si sente la mamma di altre mamme e dei loro piccoli figli che vivono nella casa-famiglia “Ciao”, al quartiere Stadera di Milano. Qui vengono ospitate donne che hanno commesso reati e che in questo luogo scontano la pena a cui sono state condannate in alternativa alla detenzione in carcere, che certo non è il luogo ideale dove far crescere dei bambini. Elisabetta, che della casa-famiglia è la responsabile, è una produttrice seriale di abbracci verso queste donne, e loro chiedono di essere abbracciate, non vogliono sentirsi schiacciate sotto il peso dei reati ma accolte e rilanciate nella vita. Attraverso il lavoro, la cura dei figli, l’amicizia con le altre mamme ospitate cercano una seconda possibilità. In questo posto la fragilità è all’ordine del giorno, ma non diventa mai l’ultima parola. Quando qualcuna delle ospiti conosce momenti di sconforto, Elisabetta l’abbraccia e la porta con sé a leggere insieme un cartello che campeggia nel corridoio della casa, dove sta scritto: «In questa casa siamo reali, a volte sbagliamo, ci divertiamo, diamo seconde possibilità. Chiediamo scusa, ci abbracciamo, siamo vitali, perdoniamo. Siamo una famiglia». © riproduzione riservata
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