giovedì 14 febbraio 2013
Firenze, marzo 2003 - Tira un vento freddo sull'Arno, ma tra le nuvole già filtra una luce da primavera. Nello studio di Mario Luzi ne entra un raggio, e percorre, come le passasse in rivista, le librerie stracolme, la scrivania sommersa da torri di volumi in equilibrio instabile. Il poeta ha 79 anni, e una nobile faccia da generale reduce da fatica e dolori.Parla di sua madre, Margherita. «Il giudizio che mia madre dava sulla vita è sempre stato un punto di riferimento per me. Nei momenti più difficili, ho sempre saputo che di quello che mi aveva detto mia madre potevo fidarmi. Era profondamente credente. Un modo raro di vivere il cristianesimo. Cristo non come qualcuno da commemorare e celebrare, ma vivente».«Io - ora il poeta libera i ricordi - sono del '14. Ho delle vaghe reminiscenze delle ville fiorentine nel '18, adibite a ospedali, dei carri che arrivavano, carichi di feriti. Era un'Italia stremata, che però sapeva sperare». Starei qui, a ascoltarlo, per ore. Ma il professore torna agli anni nostri, e a un prete di Pienza, don Fernaldo Flori, in cui, già vecchio, aveva ritrovato la fede di sua madre. Per questo Luzi non è amaro né nostalgico, a ottant'anni? Ecco, mi dico andandomene nel sole acerbo di marzo, un testimone: un uomo in pace, che non ha più paura di niente.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: