sabato 5 aprile 2003
  Se ti sono noti i tuoi limiti e trovi la tua felicità rispettandoli, puoi colmare la tua vita. Ma se la mala luce del desiderio ti attrae sempre più lontano, da una cosa all"altra, finirai nel nulla.In una libreria specializzata ho trovato una versione inglese del "Quintetto", cioè dei cinque poemi romanzeschi a rima baciata del poeta persiano Elyas A.M. Nizami, nato nell"attuale Azerbaigian nel 1141 e morto attorno al 1204. Leggerli tutti è piuttosto faticoso; ne sfoglio qua e là qualche pagina, in particolare del quarto di questi  "cinque tesori", come la tradizione musulmana li definisce, il più celebre, tradotto anche in italiano, Le sette principesse (Bur-Rizzoli). Scopro, così, la riflessione che sopra ho citato.Essa riguarda il desiderio che, di per sé, è una componente positiva: viene de sideribus, dalle stelle, ed esprime la nostra tensione verso l"infinito e l"eterno, l"inquietudine della ricerca del divino. Ma c"è un desiderio perverso che si trasforma in avidità, smania, frenesia, brama, cupidigia, eccitazione. Quando ti si attacca, non ti dà più tregua; nulla più ti accontenta,  vorresti possedere sempre di più, godere in forme sempre più esasperate, dominare eventi e persone in modi sempre più totalizzanti. E, come suggerisce il poeta persiano, lentamente si cade nella nausea, nel disgusto, nel vuoto interiore. L"anelito può, così, condurci in cielo ma anche farci precipitare in un abisso infernale. Per questo Nizami raccomanda la coscienza del proprio limite, il realismo e l"umiltà di chi si conosce come creatura e non si aggrappa alle illusioni e alle chimere.
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