Una vita brevissima come lama sul ghiaccio
mercoledì 22 luglio 2020
La storia di oggi è di una tristezza struggente come solo l'addio a una ragazza di vent'anni può essere. Si chiamava Ekaterina Alexandrovskaya e proprio nel momento in cui la sua vita adulta stava per iniziare, si è gettata dalla finestra del suo appartamento di Mosca. Ekaterina era un'atleta: sedici dei suoi venti anni di vita li aveva passati con le lame dei pattini ai piedi. Aveva quattro anni la prima volta che scivolò sul ghiaccio, ne aveva diciassette quando vinse, nel pattinaggio di coppia, il titolo mondiale juniores e, nella stessa categoria, la medaglia d'oro nella finale del Grand Prix e ne aveva diciotto quando esordì ai Giochi Olimpici di Pyeonchang, rappresentando l'Australia, il Paese di cui aveva acquisito la cittadinanza perché il suo partner artistico era, dal 2015, l'australiano Harley Widsor.
Una vita, brevissima, passata sul ghiaccio con grazia, armonia e con il sorriso sempre sul viso perché, negli sport dove il risultato si misura attraverso la valutazione dei giudici, alla fine conta anche quello. Nel 2019, tuttavia, qualcosa si rompe, una serie di infortuni non le consentono di allenarsi con continuità e il 26 febbraio 2020 arriva l'annuncio: la coppia si scioglie a causa di non meglio precisati problemi di salute di Ekaterina. Finisce tutto. Finiscono i viaggi intercontinentali, finiscono gli allenamenti, finisce quel giudizio costante sulle sue performance. Anni e anni, dove a ogni figura corrispondeva un voto, a ogni movimento un feedback, passati ad aspettare un numero su un display dove pochi decimali segnavano la differenza tra la vittoria, la felicità, la realizzazione di un obiettivo, dalla sconfitta, dalla rabbia, dal senso di frustrazione. Le lame per definizione tagliano, come il freddo dei palazzetti del ghiaccio, lo sguardo di allenatori troppo esigenti, il giudizio di esperti che scansionano la tua prestazione e ti misurano rispetto alla tua distanza dalla perfezione e forse una chiave di lettura del finale di questa storia sta proprio lì: nella capacità di sopportare quei decimali che separano da quel paradiso artificiale. Ai Giochi Olimpici non era andata bene e questa ragazza, fragile e imperfetta come tutti noi, non era riuscita a farsene una ragione. Gli infortuni prima, come si è detto. Poi la depressione. Poi una diagnosi di epilessia. Poi il ritiro, in un momento in cui il mondo intero si apprestava a fermarsi.
Chissà quale ombra, quale dolore insostenibile ha spinto Ekaterina giù dalla finestra di un condominio di Mosca. Non lo saprà mai nessuno e che le sia risparmiato l'ennesimo giudizio: lei, che ha passato tutta la vita ad essere misurata si è voluta tenere l'ultimo responso, lasciando un biglietto in casa con su scritta una parola sola: amore. Dopo tutto quel ghiaccio scivolato in superficie, chissà quale iceberg, dal peso insostenibile, ci sia sotto a quel biglietto e a quella parola. Troppo per le forze di una ragazza nata il 1° gennaio 2000, proprio all'alba di un nuovo millennio che tutti vorremmo fosse quello di un'umanità rinnovata, capace di giudicare meno e amare di più. Quel biglietto scritto da una ragazza ventenne che non c'è più, ci ricorda che, almeno per ora, non ci siamo riusciti.
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