mercoledì 30 marzo 2005
È entrato un ladro. Era giorno. Ha forzato/ una finestra dopo avere distorta/ la serratura. E poi non ha rubato/ niente. Neppure uno spillo. E non conforta questa notizia insolita. Ha vagato/ nelle stanze deserte e ha fatto scorta/ fraudolenta d'immagini e ha lasciato/ l'impronta della mano su ogni porta/ è dappertutto nell'aria il suo fiato/ come un marchio" La scena che questi versi dipingono è stata forse vissuta da più di un lettore. A rappresentarla è un poeta, Luciano Luisi, che è stato figura di rilievo nella televisione del passato quando essa non temeva di interessarsi seriamente di cultura e di essere un vero "servizio pubblico". Ma le parole del suo sonetto, presente nel volume Nonostante (Passigli), vanno avanti e colgono il cuore profondo di quella violazione: «L'offesa è d'avere la nostra intimità/ spiata. Questo: è questo che ha rubato». Ai nostri giorni si fanno proclami roboanti sulla tutela della privacy; eppure mai come oggi si è perso il rispetto per l'intimità e non solo perché siamo "spiati" in mille forme sofisticate e inattingibili ma soprattutto perché si è dimenticato il pudore, nel senso alto del termine. Basti solo seguire i vari programmi televisivi che recano il nome emblematico di reality show: non esiste alcun rispetto di sé, si vomitano le realtà più intime e sconcertanti senza rossore, imbarazzo e confusione. È, questa, una vera auto-depredazione, ben più grave di quella del ladro occulto. Con l'Amleto di Shakespeare ci domandiamo: «O vergogna, dov'è il tuo rossore?». È necessario ritrovare questa qualità dell'uomo autentico: vergognarsi e custodire la propria intimità, i segreti interiori, la dignità e la delicatezza dei sentimenti.
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