sabato 21 luglio 2007
Un chiostro è il mio cuore / ove tu scendi a sera / io e Te soli / a prolungare il colloquio.
Di domenica vorremmo creare una sorta di oasi per i nostri lettori. Forse è a sera che riescono a riprendere in mano il giornale, dopo le ore trascorse fuori città, e in quel momento ecco la possibilità di un piccolo spazio di silenzio, soli con se stessi. I pochi versi di p. David M. Turoldo, che una lettrice milanese ha posto alla fine di una sua lettera, mi sembrano emblematici. L'immagine è quella del chiostro, ma perde la sua pur affascinante esteriorità e si trasforma in una parabola del dialogo tra Dio e l'uomo o la donna che si compie all'interno del cuore, la vera clausura dell'anima.
Come nel giardino dell'Eden il Creatore scendeva a passeggiare mentre spirava la brezza serale (Genesi 3, 8) per incontrare la sua creatura, così anche noi dovremmo sentire i suoi passi che avanzano senza rumore, eppur percepibili nel crepuscolo. Abbiamo bisogno, almeno per pochi minuti, di questa intimità con Lui e con noi stessi. Una battuta ascetica tradizionale affermava che la solitudine è la dieta dell'anima che si libera dall'obesità delle chiacchiere, delle immagini, degli incontri, delle vanità e ritrova l'agilità per dirigersi verso la profondità, il mistero, l'intimità. Un altro poeta a me molto caro, l'austriaco Rainer M. Rilke, scriveva: «Una cosa sola ci è necessaria: la solitudine, la grande solitudine interiore. Andare in se stessi e non incontrarvi chi ti distrae. A questo bisogna arrivare: essere soli come solo è il bambino».
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