mercoledì 9 dicembre 2020
La nostra pratica della preghiera è chiamata a esprimersi in un'attenzione profonda, nella cura fraterna per tutti coloro che ci attorniano. La preghiera ci dà l'esperienza che tutto è connesso. Siamo noi a separare le cose e a fare della spiritualità una pulsione intimista che confortevolmente trascura legami, espansioni, riflessi. Ma non dovrebbe forse essere naturale che il mondo e le creature si accorgano della nostra ricerca di Dio? La vita che vibra attorno a noi non dovrebbe accorgersi che stiamo pregando? Nella Lettera ai Romani, san Paolo ricorda che anche il creato geme e soffre con dolori come di parto nell'attesa della redenzione. Perché la preghiera non modifica unicamente la nostra respirazione, ma il respiro del mondo. La preghiera che modifica il silenzio e la luce della nostra casa riverbera anche sul nostro quartiere. Trasforma il giardino in cui lavoriamo come i boschi distanti. Riconfigura le nostre parole, ma anche le possibilità che pulsano nelle parole che non ci appartengono. Risignifica la maniera in cui attraversiamo l'individuale, ma contribuisce a conferire un determinato senso al comunitario. Ci succede di pensare che l'orazione dei credenti sia una corrente irrilevante e anonima che nella marcia della storia non conta. Quanta strada dobbiamo ancora percorrere per capire che tutto, in realtà, è connesso.
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