giovedì 16 gennaio 2020
Negli ultimi tempi si sente spesso parlare di "Mindfulness", termine inglese che significa "consapevolezza"; si tratta di una pratica che ha origine da tecniche di meditazione orientale, tese a favorire la capacità di essere più presenti a sé stessi e dunque più sereni e creativi. L' interesse suscitato dall'idea (certo non nuova per un cristiano) del "fermarsi per meditare" ci fa riflettere su un fatto: forse si inizia finalmente a percepire quale profondo disagio comporta per l'uomo la perdita del contatto con la propria dimensione interiore. L'interiorità è lo spazio in cui prende forma la nostra visione delle cose; è un luogo di ascolto, di riflessione, di pensiero: da lì, dalla ricchezza della nostra interiorità, prende vita la nostra dimensione creativa.
Ma l'interiorità non è la dimensione più personale dell'uomo: ancora più in profondità si trova il nucleo della sua intimità. La parola "intimo" è il superlativo assoluto di "interiore" e indica qualcosa che si trova "il più all'interno possibile". Se l'interiorità è la fucina della parola, l'intimità invece è un luogo silenzioso, uno spazio segreto che può essere raggiunto solo da chi ne è proprietario; uno spazio prezioso nel quale far riposare ciò che di noi è più personale, più delicato, più profondo. L'intimità è un luogo legato anche alla nostra fisicità: un luogo di esperienza più che un luogo di parola, dove il sé di ciascuno ha le proprie radici e il proprio fondamento; nell'intimo di una persona si trovano le tracce vive dei suoi ricordi, con la loro colorazione personale e mai completamente condivisibile. La nostra interiorità si nutre di ciò che la nostra intimità sperimenta e si arricchisce ogni volta che riusciamo a riflettere su ciò che ci tocca nell'intimo, rivestendo questa esperienza di parole; diventa dunque tanto più ricca e preziosa quanto più ricco e articolato è il nostro linguaggio.
Nel corso dello sviluppo umano, l'età in cui assistiamo alla meravigliosa novità della nascita di un pensiero auto-riflessivo è l'adolescenza: in questa fase le competenze cognitive, la capacità di astrazione, le modalità di gestione delle emozioni si modificano drasticamente, in seguito all' importante rimodellamento delle strutture cerebrali. L'adolescente acquista la capacità di mettere a confronto in modo critico le proprie sensazioni, sentimenti e pensieri con i messaggi che arrivano dal mondo esterno, e di valutare ogni esperienza anche in base alla risonanza che questa provoca dentro di lui. Da questo momento ha la possibilità preziosissima di inaugurare un percorso riflessivo, in cui l'esperienza può trasformarsi in pensiero e in parola, divenendo parte integrante della consapevolezza di sé. Dire "possibile" però non significa dire automatico, né sicuro: l'adolescenza può diventare luogo di dispersione invece che di crescita. L'esperienza di "vuoto" così frequente negli adolescenti e negli adulti di oggi, e che è causa prima delle moltissime "dipendenze" con cui ci confrontiamo (dipendenze da cibo, droghe, sesso, gioco ecc.) deriva proprio dallo sviluppo di identità senza interiorità. Il rischio è che l'inquietudine sana e vitale degli adolescenti si disperda in rivoli di emotività fine a se stessa, incapace di tradursi in riflessione sul sé e sulla vita: questo porta a un Io senza profondità, smarrito nelle immagini e sensazioni che di volta in volta lo colpiscono e lo attirano. I nostri figli faticano sempre più a stare soli con se stessi per "ascoltarsi", e stanno perdendo il piacere per la parola che aiuta a riflettere: parola che può nascere solo dalla cultura, trasmessa con passione dall'adulto. La prima, grande questione è dunque quella di avere parole per trasformare l'inquietudine in domande. Guardarsi dentro e farsi domande è la strada per sviluppare il proprio mondo interiore; è lì che si trova la sorgente della creatività, fonte del benessere psichico, e solo da lì è possibile partire per dare una direzione significativa alla propria vita e per costruire con gli altri relazioni di incontro davvero autentico.
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