giovedì 23 ottobre 2003
La fede è un intreccio di luce e di tenebra: possiede abbastanza splendore per ammettere, abbastanza oscurità per rifiutare, abbastanza ragioni per obiettare, abbastanza luce per sopportare il buio che c'è in essa, abbastanza speranze per contrastare la disperazione, abbastanza amore per tollerare la sua solitudine e le sue mortificazioni. Se non avete che luce, vi limitate all'evidenza; se non avete che oscurità, siete immersi nell'ignoto. Solo la fede fa avanzare. In un articolo che sto leggendo m'imbatto in questa riflessione del teologo e autore spirituale francese Louis Evely. Alcuni sono convinti che la fede sia solo luce, certezza, evidenza e ignorano che Abramo sale verso la vetta del Moria armato, sì, di fede ma anche di paura e col cuore segnato dall'oscurità. Così sarà per Giobbe, il credente che lotta con Dio.
Se fosse solo evidenza, allora la fede sarebbe una variante della matematica o della geometria. Se fosse solo tenebra, allora sarebbe l'anticamera della disperazione. Credere è, invece, "avanzare" come dice Evely, è rischiare. È per questo suo "intreccio di luce e di tenebra" che la fede non ammette il fanatismo, che è una sua orribile scimmiottatura, ma non cade neppure nel dubbio sistematico, riducendosi a mera e sconsolata domanda. Quando, perciò, il cielo s'oscura, non temiamo di aver perso necessariamente la fede; quando la luce è sempre e solo evidente, interroghiamoci sul Dio che stiamo seguendo, per non cadere nell'illusione. Vorrei concludere ancora con Evely che così definisce la sua fede: «Grazie a quello che di te conosco, credo in te per ciò che non conosco ancora e in virtù di quello che ho già capito, ho fiducia in te per ciò che non capisco ancora».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: