domenica 28 maggio 2006
Certi cattolici attendono la seconda venuta di Cristo più o meno con la stessa indifferenza con cui attendono l'arrivo dell'autobus alla pensilina. «Questo Gesù, che è stato tra di voi assunto al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo». Così dicono gli angeli ai discepoli che fissano il cielo, la sede del Risorto, segno della sua trascendenza e divinità, ora non più nascosta sotto il velo dell'umanità (Atti 1, 11). «Tornerà» è la promessa, e la Chiesa delle origini aveva vissuto questa attesa persino con qualche fremito di troppo, se è vero che s. Paolo aveva dovuto placare le inquietudini un po' disordinate dei cristiani di Tessalonica, convinti che quel ritorno fosse imminente. Al contrario, col passare dei secoli, si è insediata nella comunità cristiana una certa stanchezza che lo scrittore Ignazio Silone (1900-1978) rappresenta in modo ironico e pittoresco nella battuta che sopra abbiamo citato. Si è, infatti, troppo spesso di fronte a una cristianità tiepida che si merita la terribile accusa che il Cristo dell'Apocalisse scaglia contro la Chiesa di Laodicea: «Poiché sei tiepida, non sei cioè né fredda né calda, sto per vomitarti dalla mia bocca» (3, 16). Una pratica religiosa abitudinaria, una carità senza ardore, una speranza avvizzita rendono il cristiano opaco e grigio come il mondo che lo circonda. La vita fluisce, si è rassegnati e si accettano gli eventi nel loro accadere, si programma l'esistenza secondo gli interessi immediati e si pensa che tutto sfocerà in un futuro vago e indefinito. E, invece - ci ripetono i messaggeri di Dio - Cristo «tornerà» e il suo giudizio sulla storia sarà fonte di paura per il perverso e sorgente di gioia per chi ha atteso con amore e fedeltà.
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