giovedì 13 luglio 2006
Se tu sapessi di morire oggi/ e vedessi il volto di Dio e l"Amore, cambieresti?/ Se tu sapessi che l"amore/ può far breccia nel tuo cuore/ quando hai proprio toccato il fondo, cambieresti?Lo conosciamo come volto del telegiornale, nei servizi che riguardano il Quirinale: è Paolo Giuntella, giornalista impegnato anche nel sociale attraverso il suo cristianesimo. Ho appena letto un suo volumetto, Il fiore rosso (Paoline), che è simile a una galleria di testimoni contemporanei del cristianesimo. E nell"ultima pagina trovo queste parole di un album di Tracy Chapman. Non sono versi memorabili, come spesso accade per le canzoni, ma mi attirano per un aspetto particolare racchiuso in una frase stereotipata, spesso ripetuta da tutti: «Toccare il fondo». La si usa per lamentarsi della situazione storica in cui ci troviamo e allora fa il pari con la domanda retorica «Dove andremo a finire?».Ma c"è un uso ben più drammatico - anche se meno enfatico - ed è quello evocato proprio dai versi citati: è la situazione di chi si è lasciato andare e, sprofondando come in una palude, non ha più né forza né voglia di tirarsi su. In quel momento è decisiva una sola cosa, che si cerchi di afferrare la mano che ti è offerta. Purtroppo, però, non di rado accade che non ci sia nessuna mano pronta a tendersi verso chi è precipitato. Si passa accanto veloci,  ignorando i tanti nostri fratelli o sorelle che avrebbero bisogno di un gesto, di una parola, di un affetto. Ma spesso anche chi è caduto non ha più nessuna voglia di attaccarsi a quella mano e risalire: lo sanno tanti genitori di fronte ai drammi dei loro figli. Ecco perché Chapman lascia la frase all"interrogativo che inquieta ma che può anche far sperare.
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