venerdì 2 settembre 2011
Decise di cambiar vita, di approfittare delle ore del mattino. Si levò alle sei, fece la doccia, si rase, si vestì, gustò la colazione, fumò un paio di sigarette, si mise al tavolo di lavoro e si svegliò a mezzogiorno.

Tornati dalle vacanze, ove l'incubo della sveglia mattutina era esorcizzato, ci si ritrova di fronte ai ritmi feriali e lavorativi. Bisogna riconoscere che, se ogni lingua è specchio della vita di un popolo, quella italiana ci relega tra i cultori non entusiasti del lavoro. Provo, ad esempio, a controllare sul dizionario dei Sinonimi e contrari di Garzanti la voce «attività» e trovo dieci vocaboli analoghi; passo a «pigrizia» e vedo elencati quindici sinonimi. Oggi, un po' provocatoriamente parlerò del «lazzarone», dello «scansafatiche», dello «sfaticato», del «fannullone», del «perdigiorno», dello «scioperato», aggettivi che curiosamente non trovo sotto la voce «pigro» dello stesso dizionario. A irridere questo personaggio equamente distribuito in tutte le classi sociali e in tutte le professioni è quel caustico scrittore che è stato Ennio Flaiano (1910-1972).
Dal suo Diario notturno ho estratto il bozzetto, un po' surreale e molto graffiante, di uno scrittore o di un burocrate o impiegato, pieno di buoni propositi e di una parallela e totale assenza di impegno. Spesso sento genitori definire amabilmente i loro figli come “svogliati”, quasi fosse solo un piccolo neo che presto sarà risolto. In realtà, la tolleranza nei confronti di una simile apatia può condurre verso il baratro dell'indifferenza, del disinteresse, della noncuranza che si apre purtroppo davanti a tanti giovani. È un sonnecchiare dell'anima che non prova più gusto per nulla, è un'abulia che alimenta un'insensibilità spirituale. E non dimentichiamo che, come diceva la filosofa Hannah Arendt, spesso il male è banale.
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