Suinicoltura, la crisi è profonda
sabato 15 gennaio 2011
Per la suinicoltura italiana è crisi per davvero. E non solo per gli effetti deleteri dell'uso di mangimi contaminati dalla diossina che dalla Germania ha avuto un'eco anche in Italia. Alla base del disastro, stando agli osservatori del comparto, c'è ben altro.
A schiacciare le imprese suinicole, c'è infatti il peso congiunto dei continui rincari dei prodotti per l'alimentazione animale da un lato e la stagnazione dei prezzi di vendita dall'altro che rende pressoché nulli i margini. Pur tenendo conto di alcuni prodotti d'eccellenza dell'agroalimentare italiano, come la serie di prosciutti DOP che proprio dagli allevamenti suinicoli italiani traggono buona parte della loro qualità.
E pensare che, stando per esempio alle analisi del Centro ricerche economiche sulle filiere suinicole dell'Università del Sacro Cuore, in Italia il settore ha alcune caratteristiche che lo rendono unico in tutto il mondo con 12,7 milioni di capi macellati all'anno, oltre un milione di tonnellate di prodotto trasformate dai salumifici e quasi 110mila tonnellate esportate. Peculiarità che, tuttavia, lo rendono anche incapace di adattarsi ai mutamenti di mercato e soprattutto dei prezzi. Secondo Confagricoltura, che in questa settimana ha scritto al Governo per chiedere interventi urgenti, «negli ultimi mesi la situazione si è ulteriormente inasprita. Gli allevatori italiani subiscono i contraccolpi di una congiuntura che rischia di scaricare principalmente sulle loro imprese gli effetti della gelata dei consumi e della crisi economica in generale».
È proprio in periodo difficili come questo che si fa sentire tutta la fragilità della suinicoltura nostrana che si traduce nella difficoltà di controllare la produzione, anche se vi sono importanti strutture organizzate.
In questo modo " è stato fatto notare " l'eccessivo di offerta diventa praticamente cronica e non favorisce la ripresa dei prezzi che quindi continuano ad essere eccessivamente bassi. Per questo, stando agli ultimi dati dell'Associazione nazionale suinicoltori, il valore della produzione si è attestato a 2,3 miliardi di euro (-6,8%), di cui metà finisce alla distribuzione solamente il 16% circa agli allevatori.
A questo punto che fare? Secondo i produttori non rimangono che alcune misure di carattere normativo e finanziario, in grado di consentire alle imprese di riposizionarsi e di riguadagnare margini di competitività. Il lavoro sulle risorse finanziarie messe a disposizione delle imprese, da un lato, e sulle norme rivolte al consumo dall'altro, potrebbero essere degli strumenti validi.
Soprattutto pensando ai riflessi dei guai, come quelli relativi alla diossina, provocati da altri Paesi europei. Come spesso capita, quindi, una più puntuale informazione al consumatore e una reale tutela del prodotto di qualità appaiono essere le strade da percorrere. Occorrerà capire la reale volontà di farlo e il tempo a disposizione prima di veder chiudere troppi allevamenti.
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