martedì 7 gennaio 2014
Lucca, gennaio. Mattina di cielo opaco e pioggia fine. Il locale da Firenze è annunciato in orario. Alla stazione per aspettare un amico, sono in anticipo.Cammino su e giù lungo i binari per scaldarmi. È una di quelle giornate in cui l'inverno sembra volerti penetrare nelle ossa, in refoli d'aria gelida e insinuante. Ma nelle stazioni mi sento, stranamente, come a casa. Mi piacciono quelle di provincia, uguali, con il bar affollato di viaggiatori e l'aroma aspro del caffè; con gli orari di arrivi e partenze che lampeggiano (e ogni treno, penso, è carico di uomini, in una trama  invisibile di vite). Il mio sguardo segue i binari lucenti di pioggia che vengono da Firenze, e vanno verso il mare. Intanto guardo le facce dei viaggiatori, giovani o stanche, quasi un po' smarrite nell'ansia dell'andarsene, o tornare; per ciascuno cerco di immaginare dalle rughe, dagli occhi, una storia, un'attesa, un dolore. Mi piacciono proprio le stazioni, nodi di destini, e i treni, e il loro affacciarsi ansante, da animali stanchi di una lunga corsa, in fondo alle banchine; coi fari gialli accesi che paiono osservare noi, che aspettiamo.Quando i figli erano bambini, al mare, nei giorni di brutto tempo andavamo alla piccola stazione del paese a guardare i treni passare. Ed era bello, seduti su una panchina davanti ai binari, stringermeli addosso come una chioccia mentre iniziava a suonare acuto il campanello che avverte dell'avvicinarsi di un treno. Treni che, sulla linea tra Genova e Roma, piombavano nella stazioncina rapidi come sparvieri, senza fermarsi; e in un attimo erano già lontani, in un clangore di vento e di acciaio. I bambini ridevano di quella corsa folle, di quel mostro metallico che li sfiorava e scappava. Ma io, non avrei allora saputo dire che cosa in quella piccola stazione mi attirava; altro non c'era che una casa, e binari in corsa verso l'infinito. Eppure tanto tempo dopo, ancora stamattina mi fermerei come allora – a veder passare i treni.E arriva infine il treno che aspettavo, eccolo che si profila laggiù coi suoi occhi lucenti. Ecco l'affollarsi alle portiere di chi parte, e gli sguardi incerti di quelli che, scesi, cercano chi è a aspettarli. Anche noi ce ne andiamo. Lancio un'ultima occhiata ai binari scintillanti, tesi a un costante altrove. Le rotaie, parallele qui davanti, sembrano nel gioco della prospettiva riunirsi finalmente, in un punto all'orizzonte. Metafora buona, mi accorgo, del camminare verso il nostro destino; non nel nulla, ma attesi sempre da qualcuno – in quel punto, che si perde all'orizzonte.
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