giovedì 7 settembre 2006
Non sola la fortuna è cieca, ma spesso rende ciechi anche quelli che ha abbracciato: così, essi si lasciano trasportare dal disprezzo e dalla superbia e nulla è più insopportabile di un uomo stupido e fortunato. Come non condividere questa considerazione di Cicerone nella sua opera Sull'amicizia? La fortuna, infatti, non è solo cieca ma spesso anche acceca, ed è sufficiente scorrere le cronache per vedere quante stupidaggini crede di potersi permettere chi è stato baciato dalla buona sorte, soprattutto economica. Che avvenga una specie di mutazione genetica in chi ha avuto fortuna, è un dato facilmente sperimentabile. Lo stesso scrittore latino subito dopo la frase da noi citata aggiungeva: «Quelli che erano prima di carattere accomodante, raggiunta la fortuna e il potere o l'autorità, cambiano radicalmente, disprezzano le antiche amicizie e si gettano a conquistarsene nuove e più importanti». Dobbiamo, infatti, riflettere su almeno due esperienze. La prima, purtroppo, costante, è quella di non lasciarci sconvolgere dalla fortuna altrui: l'invidia è sempre in agguato e può farci perdere il sonno. Essere fortunati è, infatti, frutto di un intreccio di circostanze casuali e non certo risultato del merito personale. L'altra osservazione è ancor più difficile da accettare: se ti accade di avere fortuna, non lasciarti andare alla deriva dell'orgoglio. È questa la prova più ardua perché dall'alto della buona sorte ti sembra di avere una statura superiore, mentre sei come prima. Il nostro Guicciardini dichiarava la fortuna il nostro «maggior inimico, perché ci fa diventar cattivi, leggeri, insolenti. È perciò la maggior prova per un uomo è resistere alla fortuna più che all'avversità».
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