sabato 14 dicembre 2019
Una volta esistevano le cosiddette "regole di buon vicinato". In un palazzo, in un quartiere – e non parliamo dei piccoli centri –, ci si conosceva tutti, e non solo per dirsi buongiorno o buonasera. C'era una partecipazione alla vita degli altri che, al bisogno, era pronta a sconfinare nella condivisione e anche nella solidarietà. Dalle cose più piccole a quelle più grandi. Si viveva in una rete, ma era una rete reale, fatta di carne e ossa, non di social e di algoritmi. La vicinanza non generava indifferenza o sospetto, ma prossimità. E la parola d'ordine della vita quotidiana non era "non t'impicciare", ma si era aperti, pronti a partecipare. Non era tutto perfetto, questo no, ma era una dimensione, una realtà, che favoriva l'incontro.
Oggi, in una società che, piuttosto che liquida, appare polverizzata, in cui l'idea di bene comune è stata quasi spazzata via dalla rivendicazione di diritti individuali sempre più egoistici, diventa urgente recuperare quella dimensione fatta di «piccoli gesti» per ritrovare «un clima sociale più respirabile». È quello che papa Francesco ha auspicato domenica scorsa, solennità dell'Immacolata concezione, nella preghiera a Maria durante il tradizionale omaggio alla Vergine a Piazza di Spagna. Questa dimensione del "piccolo" è essenziale per Bergoglio. Nella Bolla d'indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Misericordiae vultus, il Papa aveva insistito su tale aspetto: «Gesù afferma che la misericordia non è solo l'agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l'espressione più evidente dell'amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere».
Era la chiamata a dare vita a un "Giubileo della porta accanto", a sottolineare che il senso dell'Anno Santo sarebbe passato attraverso ciascuno di noi, attraverso la capacità di ognuno di fare della propria esistenza una "porta santa", perché «il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici. Accogliamo quindi l'esortazione dell'apostolo: "Non tramonti il sole sopra la vostra ira". E soprattutto ascoltiamo la parola di Gesù che ha posto la misericordia come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia"».
E così ecco domenica, di nuovo, l'esortazione a confidare in Cristo perché «Lui, e Lui solo, spezza le catene del male, libera dalle dipendenze più accanite, scioglie dai legami più criminosi, intenerisce i cuori più induriti. E se questo avviene dentro le persone, come cambia il volto della città! Nei piccoli gesti e nelle grandi scelte, i circoli viziosi si fanno a poco a poco virtuosi, la qualità della vita diventa migliore e il clima sociale più respirabile». Per questo bisogna liberarsi dalla «corruzione del cuore, che è il pericolo più grave». Perché «non è la stessa cosa essere peccatori ed essere corrotti... Una cosa è cadere, ma poi, pentiti, rialzarsi con l'aiuto della misericordia di Dio. Altra cosa è la connivenza ipocrita col male, la corruzione del cuore, che fuori si mostra impeccabile, ma dentro è pieno di cattive intenzioni ed egoismi meschini». Così da non essere «più schiavi del peccato, ma liberi, liberi di amare, di volerci bene, di aiutarci come fratelli, pur se diversi tra noi». Come sempre non ci indica, Francesco, niente di "eroico", ma solo quello che ognuno può concretamente fare per cambiare il mondo.
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