mercoledì 16 ottobre 2002
Non c'è speranza senza paura, e paura senza speranza. Nel tardo pomeriggio di 24 anni fa, il 16 ottobre 1978, veniva proclamata al mondo l'elezione di Giovanni Paolo II. Abbiamo voluto ricordare quella data non con una citazione desunta
dall'immensa raccolta di testi papali, bensì con una semplice ma folgorante battuta di un'opera teatrale di Karol Wojtyla, La bottega dell'orefice. È una riflessione sulla virtù più delicata - non per nulla si ricorre come simbolo, per descriverla, al verde dei germogli -, la speranza. Essa ha quasi la funzione di collegamento con le altre due virtù teologali: è alimentata dalla fede che, come dice la Lettera agli Ebrei, è «fondamento delle cose che si sperano» (11, 1), e fiorisce nell'amore. Ma lo scrittore Wojtyla ci ricorda che in essa permane il fremito della paura. La speranza, infatti, non è ancora pienezza, è attesa, ed è per questo che vibra anche di timore. Ma è curioso il parallelo che il Papa introduce: anche la paura non è mai priva di un seme di speranza. Tant'è vero che è stato coniato - sulla base di una frase di Cicerone ( Dum anima est, spes est) - il proverbio che «fin che c'è vita, c'è speranza». Basta solo il soffio dell'esistere, anche nell'incubo più atroce, per continuare ad attendere una luce e una sorpresa di pace. In ogni tempo, perciò, è necessario alimentare in noi il respiro della speranza, soprattutto quando la paura sembra prevalere. «La speranza è un rischio da correre. Anzi, è il rischio dei rischi» (G. Bernanos, in La libertà perché?).
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