domenica 16 aprile 2006
Sarà come incontrarti per le strade della Galilea e sentire il battito di luce delle Tue pupille divine riscaldare il mio volto. Sarà la tua mano a prendere la mia con un gesto d'amore ignoto alla mia carne. Sarà come quando parlavi a chi era respinto per i suoi peccati,
sarà come quando perdonavi. Dimmi che non sarà la morte, ma soltanto un ritrovo di amici separati da catene di esilio" Non ho indicato gli "a capo" di questa poesia intensa e lineare che sconfina in preghiera perché tutti la possano riprendere come canto pasquale. L'ha composta una poetessa delicata e sensibile, Donata Doni (1913-1972), nella raccolta Il pianto dei ciliegi feriti (Edizioni di Storia e Letteratura 1963). Cristo risorto continua a fissarci negli occhi, a prenderci con tenerezza per mano, a perdonare, a guarire e consolare. Ma l'incontro decisivo con lui sarà proprio nel momento estremo della nostra esistenza. Allora, continua la poetessa, «non saranno paludi d'ombra a sommergermi, né acque profonde a travolgermi». In quell'istante, infatti, ci sarà «solo il Tuo volto, solo il Tuo incontro». Nella morte, Gesù è stato nostro fratello in modo radicale, condividendo il nostro patire, la nostra solitudine e persino il silenzio di Dio. È, così, diventato un cadavere, proprio come accadrà anche a questo nostro corpo mortale. Eppure anche in quell'abisso di morte non ha cessato di essere il Figlio di Dio, eterno e vivente: è per questo che ha deposto nella nostra miseria di creature, nel nostro male e nel limite una scintilla di eternità e di infinito. Ecco, allora, l'alba di Pasqua con la risurrezione, segno di quella vita trascendente che anche a noi sarà donata e che ci permetterà di vedere quel volto divino, nella pienezza della luce che non conosce tramonto. Allora sarà «il ritrovo di amici separati da catene di esilio».
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