giovedì 21 maggio 2015
Quando El Greco morì, nel 1614, lasciò nel suo studio figurine modellate in cera che egli adoperava per realizzare gli scenari delle sue opere. Sono, in effetti, vibranti come cera gli apostoli, radunati nel cenacolo della Pentecoste di El Prado (Madrid). Non ci sono finestre e l’oscurità che s’indovina rimanda alla disgregazione e alla paura che i discepoli vissero durante gli eventi dolorosi della morte di Gesù. Tuttavia, con l’avvento dello Spirito, tutto vibra di luce e il gruppo degli apostoli si ricompatta attorno a Maria.
 
Sì, il passato è redento, rinnovato, non già grazie agli sforzi personali di ciascuno, bensì grazie all’esistenza nuova in Cristo resa possibile per la discesa soave, eppure forte, dello Spirito Santo. A ben pensarci, soavità e forza sono gli aggettivi più idonei a descrivere questa Chiesa nascente di El Greco. Soavità perché ciascuno, nel gruppo, è attratto dal Mistero ed è in esso che si concepisce come chiamato da Dio per una missione. Forza perché lo sguardo di ciascuno è verso un centro e non verso l’uno o l’altro membro del gruppo. Tutti guardano verso un punto più alto, verso lo Spirito che tutti unisce e tutti affratella. Quanto ci educa questo vibrante gruppo di discepoli! Anche noi avremmo tanto bisogno di uno sguardo che converga verso un centro, verso un punto alto, più in alto! Christian de Chergè, martire a Tibhirine ad opera dei fratelli della montagna, a proposito del fondamentalismo mussulmano affermava che, oltre le categorie dell’odio, più in alto c’è un giardino. Ma questo punto più alto chiede, a noi cristiani, franchezza, parresia, capacità di sperare. Le figure dipinte da El Greco sono quattordici: undici apostoli e tre donne. Quattordici come il valore numerico del nome di Davide. Le promesse fatte a Davide si sono compiute: un popolo nuovo darà lode al Signore. Un popolo che porterà sempre in sé il segno dell’imperfezione umana: undici apostoli e non dodici (numero simbolico della totalità), undici perché quell’uno che manca resta, come ombra, sullo sfondo del Calvario. Tuttavia quest’assenza è colmata da Maria, è lei a completare quell’undici scandaloso, è lei la «matrice» che non vacillerà. El Greco ha sigillato la sua opera con un elemento scenico: vi si appoggia l’apostolo di spalle con la testa rovesciata. È l’inizio del corrimano di una scala il cui termine ideale è Maria. Sì, oltre le nostre paure, oltre le nostre oscurità più in alto c’è un giardino: la Vergine ne è la primizia. Dunque: se sei sbattuto dalle onde della tribolazione, come disse San Bernardo, guarda la stella, invoca Maria. Ave, gratia plena!
Con un tratto più sintetico e fermo l’anonimo artista del Salterio Hunterian (uno dei più grandi tesori della Glasgow University), realizza una miniatura sulla Pentecoste. La Madonna è al centro, anche qui come una colonna, una turris eburnea attorno alla quale i discepoli del Signore si raccolgono.
 
Lo Spirito irrompe dall’alto in un fiume di fuoco che incendia gli apostoli come selva di ceri. Oltre le pareti del cenacolo, avvolte dall’oro dell’inconoscibile opera di Dio, sta la città: Gerusalemme, la città-teatro della morte del Signore eppure anche la città giardino. Qui, Gerusalemme, in realtà sembra essere edificata sulla volta della sala del Cenacolo. In modo diverso da El Greco, dunque, questo anonimo artista del XII secolo, suggerisce l’immagine di una umanità rinnovata dal fuoco dello Spirito che edifica la città-giardino avendo come colonna portante la Vergine Maria.
ImmaginiEl Greco, Pentecoste 1597-1600 Olio su tela, cm 275 x 127 Museo del Prado, Madrid Il Salterio Hunterland, Pentecoste, Miniatura del XII secolo, Folio 15v,
Università di Glasgow, Scozia UK


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