venerdì 21 aprile 2006
Siamo creature talmente volubili, che i sentimenti che simuliamo finiamo per provarli davvero.È vero: se uno comincia a fissarsi su un"emozione, su un"impressione, su una sensazione, su un presentimento, alla fine si ritrova totalmente avvolto dalle reti di quella percezione forse solo fittizia. Ma c"è di più: quando uno imbocca la strada della simulazione, si può scoprire o del tutto coinvolto in quell"esperienza fino a renderla da fasulla autentica, oppure gli accade di svelare involontariamente l"inganno. A fare questa considerazione è lo scrittore francese (ma nato a Losanna nel 1767) Benjamin Constant nella sua opera maggiore Adolphe, la storia di una travagliata e ingannevole storia d"amore tra l"arido e scettico Adolphe e l"appassionata e sincera Ellénore. Il protagonista è appunto un maestro nell"arte della simulazione, ma alla fine rimane compromesso e implicato nella trama di falsità che ha elaborato.Ecco, vorrei porre l"accento su due temi che Constant propone nella frase che ho citato da quel romanzo. Il primo è quello della simulazione: è paradossale, ma ci sono persone che per tutta la vita recitano una parte in cui non credono ma che alla fine è quasi connaturata con loro. Un tempo, nei vari romanzi popolari, era emblematico il caso del prete senza vocazione o del matrimonio senza amore. Fingere qualche volta può essere anche necessario, ma vivere sempre e solo affettando sentimenti non autentici può essere un incubo. Il secondo tema è quello della volubilità che è falsamente assegnata come appannaggio alle donne. In realtà è un difetto equamente spartito anche tra i maschi come canta Despina nel Così fan tutte di Mozart: «Le fronde mobili, l"aure incostanti han più degli uomini stabilità. Mentite lacrime, fallaci sguardi, voci ingannevoli, vezzi bugiardi son le primarie loro qualità».
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