giovedì 31 marzo 2005
In sette cose l'uomo intelligente si distingue dallo stupido. 1. L'intelligente non parla davanti a chi è più sapiente di lui. 2. Non interrompe il discorso di un altro. 3. Non si affretta a rispondere. 4. Fa domande pertinenti e dà risposte appropriate. 5. Dice all'inizio ciò che va detto all'inizio e alla fine ciò che va detto alla fine. 6. Riconosce ciò che non conosce. 7. È disposto sempre a riconoscere la verità. Così si legge nei Pirqê Abôt, i "detti dei padri" della tradizione giudaica antica (Detti di rabbini, Qiqajon). Un settenario che sarebbe tutto da meditare, in particolare ai nostri giorni che sembrano allinearsi proprio sul fronte opposto, rivelando così una stupidità trionfante. È interessante notare che l'accento viene posto sulla parola e sulla comunicazione perché è questa la via che svela la realtà profonda di una persona. Non per nulla il drammaturgo Eugène Ionesco faceva dire a un suo personaggio: «O parole, quanti delitti si commettono in vostro nome!». Nei sette punti, che sarebbero tutti da praticare, io farei emergere gli ultimi due. Il saggio sa di non sapere tutto e, a differenza dell'ignorante saccente, è sempre disposto ad ascoltare e a «riconoscere la verità». C'è, quindi, una dose di umiltà necessaria ma al tempo stesso c'è il coraggio di confessare la propria adesione a una verità, anche quando essa va contro il convincimento pregresso o lo stesso interesse personale. La menzogna, invece, è comoda, lusinga, blandisce, illude. «La verità - scriveva Riccardo Bacchelli nel Mulino del Po - è come il cauterio del chirurgo: brucia ma risana».
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