sabato 2 aprile 2022
I Papi possono dare fastidio. Anche tanto fastidio. Il silenzio calato dalla maggioranza dei media sulle parole di Papa Francesco, che ha definito una «pazzia» l'impegno assunto da molti Paesi, Italia inclusa, ad aumentare al 2% del Pil le spese militari, è stata l'ennesima dimostrazione di come appena si va a toccare un argomento “scomodo” o “impopolare”, la censura scatti a oscurare le parole fuori dal coro. E la voce di un Papa che dice di essersi «vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento del Pil nell'acquisto di armi... La pazzia!» è decisamente fuori dal coro. Non è che siamo diventati tutti guerrafondai, è che nella narrazione di una guerra «vergognosa» come ogni guerra, la solidarietà con l'Ucraina aggredita si è trasformata in tifo da stadio, cieco e sordo. Dove si esulta per ogni soldato russo morto, senza pensare che si tratta sempre di esseri umani strappati alla vita. E si accetta come normale che altri miliardi e miliardi di euro siano destinati alla causa della guerra. In questa guerra dove abbiamo sentito bestemmiare il Vangelo tanto da una parte quanto dall'altra, era scontato che le parole del Papa finissero nel vuoto. In tutto il mondo.
Nessuna meraviglia. Se si parla di Papi silenziati Giovanni Paolo II è recordman, sistematicamente oscurato nel 2001 (Afghanistan) e nel 2003 (Iraq) ogni volta che supplicava di non fare la guerra e di intraprendere la strada del negoziato. Ma la prima volta si trattava di “estirpare il terrorismo fondamentalista islamico” e spazzare via il regime che lo sosteneva, nel secondo caso di “esportare la democrazia” in un Paese il cui dittatore non solo sosteneva il terrorismo, ma aveva “armi chimiche e batteriologiche”, ed era “pronto a usarle” (non c'è bisogno di aggiungere altro, sappiamo tutti come è andata a finire). Il Papa sparì dalla stragrande maggioranza dei media, e per mesi interi da quelli Usa. Nel 2003 si arrivò al punto che il cardinale Renato Martino, all'epoca presidente di Iustitia et Pax, il solo rimasto a farsi voce di un Wojtyla già molto stanco, veniva additato e trattato come “uno un po' suonato”. E ciò, purtroppo, anche all'interno di alcuni ambiti della Curia.
Lo stesso è successo in un'occasione a Benedetto XVI, fresco di nomina, il giorno dopo gli attentati a Londra del 7 luglio 2005. Il Papa si trovava in Valle d'Aosta per un periodo di riposo, con un nutrito gruppo di giornalisti a corrergli appresso. Wojtyla non aveva mai usato, nemmeno dopo l'11 settembre, l'aggettivo “islamico” associato al sostantivo “terrorismo”, né espressioni simili. Si trattava, allora, di farlo dire a Ratzinger. Un collega che si credeva molto “furbo”, mentre tutto il gruppo era appostato con una piccola folla di pellegrini in un punto di passaggio obbligato, disse che ci avrebbe pensato lui. Il piccolo corteo che accompagnava il Papa arrivò, si fermò e Benedetto scese dall'auto per salutare i fedeli. A quel punto il giornalista furbo, nascosto dietro i pellegrini fece la sua domanda a voce alta, come se fosse stato uno di loro a farla. Una domanda trabocchetto, un vecchio trucco del mestiere: “Santità, lei condanna gli attentati islamici di Londra?”. Al Papa in teoria sarebbe bastato dire “sì”, ed era fatta. Benedetto non abboccò, e diede una risposta articolata, parlando dell'azione di «gruppi fanatizzati». Il giorno dopo nessuna testata, salvo "Avvenire" e Sat2000, riportò le parole del Papa. Non c'era la notizia.
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