domenica 4 settembre 2011
La ferma convinzione religiosa, la sua angoscia, la sua fiducia, il suo senso del peccato, tutto scivola molto lentamente nella laicità e si confonde fin quasi a sparire. Quello che una volta era importante, ora sembra lontano. Non è una rottura drammatica, scivola solo via.

S'intitola Un'altra vita (Iperborea 2010) ed è in pratica un'autobiografia alla terza persona di uno dei più noti scrittori svedesi contemporanei, Per Olov Enquist. Il filo narrativo parte dal 1934 in uno sperduto villaggio puritano della Svezia settentrionale, nel silenzio glaciale e immutabile delle nevi e del cielo stellato, e procede percorrendo l'Europa con la storia tormentata del secondo Novecento. Una delle tappe è quella della perdita della fede, intimamente istillata dalla madre, maestra elementare, nel cuore e nella carne del figlio. Eppure, quest'anima così radicata lentamente si dissolve. Non è un trauma etico o metafisico o storico a creare questa dissipazione, ma è un puro e semplice «scivolar via».
Penserei a un avverbio per rappresentare questa crisi: «insensibilmente». In esso si racchiude la storia di tanti nostri giovani e forse anche di alcuni di noi, se si entra nel santuario sigillato delle coscienze, di là dalle pareti dei comportamenti esteriori. Non è stata una ribellione contro Dio e neppure un evento scandaloso che ha scagliato contro il cielo, cancellando la fede. È stato solo un progressivo disfacimento a cui non si è badato, pensando che fosse solo qualche distacco secondario. E, invece, in modo impercettibile – insensibilmente, appunto – Dio, fede, grazia, peccato, colpa sono diventate parole senza senso e soprattutto senza riscontri vitali. Sono «scivolati via» ed è rimasto il vuoto. Fermiamoci, allora, e riflettiamo prima che tutto si dissolva.
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