martedì 13 luglio 2004
Figlio, ti dirò che la vita per me non fu una scala di cristallo. Ci furono chiodi, schegge e assi sconnesse e tratti senza tappeti sul pavimento. Ma continuai sempre a salire. Raggiunsi pianerottoli, voltai angoli, talvolta camminai nel buio ove non era spiraglio di luce. Così, ragazzo, non tornare indietro. Non fermarti sui gradini perché trovi ardua l'ascesa. Non cadere ora perché vado avanti io, amore mio, continuo a salire e la vita per me non è stata una scala di cristallo. E' stata una lettrice mantovana a inviarmi questo appello di una madre a suo figlio, immaginato e composto dallo scrittore statunitense Langston Hughes (1902-1967), interprete sensibile della vita e della cultura dei neri d'America. E' un monito limpido che può essere destinato anche a noi adulti; spesso infatti ci attendiamo che almeno gli ultimi gradini della scala della vita siano di cristallo, come quelli lievemente calpestati dalle star dello spettacolo su una ribalta. In realtà, quella scala è fatta sempre di assi sconnesse, di chiodi, di schegge, di nudo pavimento; talora si spegne persino la luce e s'inciampa e si cade. Il respiro si fa affannoso nell'ascesa, si soffre e si avanza. La fedeltà e la costanza sono, allora, le fiaccole necessarie per proseguire ogni giorno, con la bisaccia della pazienza sulle spalle. Ma, come suggerisce lo scrittore, non crediamo di essere soli. C'è sempre davanti a noi una guida: è una persona che ci ama e c'è anche Dio che ci precede. Cristo negli Atti degli Apostoli è chiamato infatti "la guida della vita" (3, 15).
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