lunedì 24 gennaio 2022
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Oggi sappiamo molte cose su Terezìn, l’ex fortezza militare costruita dalla austriaci alla fine del Settecento e trasformata dai nazisti in un campo di prigionia e di passaggio degli ebrei verso i campi di sterminio. Non certo il ghetto modello che i nazisti, con artificiose e disgustose messinscena, cercarono di far credere, persino in una visita a rappresentanti della Croce Rossa. A Terezìn furono deportati circa quindicimila tra bambini e ragazzi sotto i quindici anni di cui solo duecento sarebbero sopravvissuti. Un luogo di crudeltà e di orrori che i pochi tornati da quel’inferno hanno potuto raccontare. Tra di loro c’è sicuramente Michael Gruenbaum, Misha, oggi un signore che ha passato i novanta e che dal 1939 al ’45 ha attraversato da bambino quello che milioni di ebrei hanno vissuto durante gli anni del nazismo. Ha nove anni quando vede i soldati tedeschi sfilare per le strade di Praga e da allora tutto cambia.

Con la guerra arrivano fame e restrizioni sempre più pesanti, violenze e persecuzioni per gli ebrei, prima rinchiusi nel ghetto della città poi trasferiti nei campi in cui è prevista la soluzione finale. Dopo l’arresto e la morte del padre, internato a Terezìn con la mamma e la sorella, per oltre due anni e mezzo Misha affronta l’inimmaginabile, con una disperazione e una solitudine in quella prigione mitigate dall’amicizia con altri ragazzi della Stanza 7. Ed è questa la storia racchiusa tra le pagine di Il sole splende ancora (Lapis; 14,50 euro) scritto sui ricordi di Michael Gruenbaum da Todd Hasak-Lowy e tradotto dall’inglese da Matteo Corradini. Un racconto in prima persona che nulla concede alla finzione né al romanzo, che - come spiega l’autore nella postfazione - non intende essere l’ennesimo libro sulla Shoah ma piuttosto rappresentare il mondo interiore, lo sguardo immediato spesso ingenuo di un bambino prima, poi di un ragazzo, sugli eventi drammatici e brutali man mano che accadono, di cui è osservatore e protagonista. E di cui mai sa darsi ragione. Dai 14 anni

Per i nazisti Virginia era solo un numero: A24324. Un marchio impresso sul braccio che per anni ha tenuto nascosto da abiti a manica lunga. La sua storia di sopravvissuta ad Auschwitz è dolorosa e convive con lei, ormai una delle poche testimoni viventi della Shoah, sebbene a raccontarla le faccia spesso girare la testa. Virginia Gattegno in una stanza di ospedale a Venezia è incalzata dalla piccola Fatima che incuriosita le chiede notizie sul suo passato. Ed è un lungo viaggio nel tempo che prende forma tra la donna e la bambina attraverso l’Europa: parte da Roma dove Virginia passa un’infanzia serena e approda a Rodi dove Il padre è nominato direttore della scuola ebraica e dove in anni spensierati incontra quello che sarà anni dopo suo marito.

Ma anche a Rodi arrivano le leggi razziali, i nazisti e la deportazione con un lungo ed terribile viaggio nel campo di sterminio di Auschwitz da cui, dopo averne conosciuto gli orrori, si salva insieme alla sorella Lea. Il racconto di Virginia Gattegno, raccolto da Matteo Corradini in questo libro di dolore e coraggio, Per chi splende questo lume (Rizzoli; 16 euro), nell’ultima parte porta alla luce il ritorno alla vita. E soprattutto i suoi conti con l’esperienza della Shoah e con il dovere di testimoniare. Il momento in cui a Venezia, maestra alla soglia della pensione, Virginia apre quella oscura parentesi del proprio passato davanti agli occhi increduli dei suoi scolari di quinta. Un racconto che suona come una nuova consegna ai più giovani a non dimenticare e a perpetuare il racconto. Dai 14 anni

Di Sassolino, un albo illustrato pubblicato da Caissa Italia Editore (15,90 euro), sappiamo che ha avuto il riconoscimento di Miglior libro 2020 secondo IBBY Lituania, che è stato nominato alla Bologna Children’s Book Fair e al Nami 2021 e incluso nella Honour List IBBY 2022. Come si sottolinea in quarta di copertina, questa storia avrebbe potuto essere ambientata a Varsavia, a Berlino, a Parigi o a Roma, perché il nazismo, le persecuzioni e lo sterminio degli ebrei hanno attraversato con uguale ferocia tanti Paesi diversi. Ma qui siamo a Vilnius, in Lituania, dove prima della Seconda Guerra Mondiale viveva un’antica comunità ebraica di centomila persone, quasi la metà dei residenti, che venne quasi totalmente sterminata in quell’eccidio dimenticato di Panierai a pochi chilometri dalla città. La storia di “Sassolino”, scritta da Marius Marcinkevičius e illustrata da Inga Dagilė, inizia in un giorno d’estate del 1943. Eitan e Rivka, amici fraterni che troviamo impegnati a far volare il loro aquilone, hanno già appuntato sul petto la stella gialla.

Spaventosi soldati vestiti di nero, circondati da un nugolo di corvi minacciosi, marciano per la città, evocando cupi presagi. Sono gli stessi che presto alzano un muro entro cui gli ebrei devono vivere. Nessuno può oltrepassarlo, chi lo fa non torna indietro. Ma per gli ebrei del ghetto non c’è scampo e a un certo punto le pagine dell’albo dai toni grigi e marroni con tocchi di giallo si fanne nere. Per Eitan, Rivka e tutti gli altri è la fine, e di loro non resta che il ricordo. La memoria simboleggiata da un sassolino. Una di quelle pietre che gli ebrei posano sulle tombe in memoria dei loro cari. Un albo delicato, questo, nonostante la durezza degli eventi che racconta, perfetto per una lettura condivisa tra adulti e bambini.

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