giovedì 7 luglio 2016
Uno dei libri più straordinari del XX secolo fu scritto quasi interamente su piccole cartoline postali, inviate dal fronte durante la prima guerra mondiale. Si fatica a immaginare come sia possibile redigere in questo modo un feuilleton a puntate, tantopiù vale per questo testo-magma del pensiero contemporaneo, stimolatore e illuminante come pochi altri. Ma fu così che Franz Rosenzweig, in ore tenebrose della storia dell'Occidente, lo costruì, intitolandolo La stella della redenzione. Per Walter Benjamin si trattava di «una delle rare opere che ancora valga la pena di leggere» e, anche in questo caso, non sbagliò. Per molti pensatori ebrei, nel cui lignaggio Rosenzweig si includeva, la prima guerra mondiale mise un tragico punto finale all'idea di Europa. Provenivano per la maggior parte da famiglie ebraiche assimilate e da lungo tempo avevano assunto come riferimento mentale l'umanesimo scaturito dai Lumi. Rosenzweig, per esempio, iniziò col difendere una tesi accademica su Hegel e lo Stato. L'evento della catastrofe lo indusse però a riconoscere che sotto le rovine del mondo bombardato rimanevano sepolti anche i sogni e le filosofie su cui esso poggiava. Dalla sua lucidissima postazione sul fronte distingueva bene, adesso, il carattere illusorio delle concezioni lasciate in eredità dal XVIII e dal XIX secolo. Franz Rosenzweig, Martin Buber, Gershom Scholem, Walter Benjamin, Ernst Bloch, Theodor Adorno e, più tardi, Jacob Taubes ed Emmanuel Levinas, furono protagonisti di una svolta che avrebbe segnato indelebilmente la contemporaneità, una svolta certo espressa con tonalità differenti, ma partendo, negli aspetti comuni, dalla devastante disillusione sperimentata. È una generazione che cessò di credere che il progresso potesse avverare la promessa di un effettivo benessere, e che comprese tutta la fragilità del presupposto soggiacente: un concetto di tempo lineare, continuo, puramente storico, ingenuamente ascensionale. Come se potesse garantirci che il giorno di oggi è migliore del giorno di ieri. È una generazione che quindi investì nella ricerca di un nuovo rapporto con il tempo storico, ricuperando alla grammatica del pensiero il "vecchio" contributo che la religione poteva offrire. La guerra spalancava alla necessità di modelli nuovi. Quei pensatori intuivano allora, immergendosi nelle fonti giudaiche della loro stessa cultura, che il luogo senza risposta in cui si era trasformato il mondo veniva letto con maggiore pertinenza dall'escatologia biblica e dai concetti di speranza messianica e salvezza, che non dall'autorealizzazione dello spirito assoluto in seno alla storia, come sosteneva Hegel. Così facendo salvavano la speranza, come categoria teologica, dalle macerie della ragione storica. È Rosenzweig che con maggiore incisività contrappone all'utopia la redenzione, che è, nella sua forma attuale, l'esperienza dell'attesa di un cambiamento che può innescarsi in qualsiasi momento come subitanea illuminazione. Il continuum omogeneo e lineare del tempo che la teoria del progresso disegna non conosce la rottura introdotta da una novità sorprendente. E la redenzione è tale novità. Il filosofo chiarisce questo punto con l'ausilio del duplice significato di presente. Il presente può essere un passaggio orizzontale, quantitativo, nella prospettiva di una realizzazione del tempo tra l'istante attuale e quello che gli succede. Ma il presente ha anche un senso verticale, che riqualifica il tempo aprendolo all'eternità. Franz Rosenzweig penetra questa dimensione messianica del tempo soprattutto grazie alla meditazione sul senso giudaico del sabato, poiché, secondo la tradizione ebraica, il sabato e il messia sono correlati. E nella speranza della venuta del Messia, in un sabato dell'avanzare della storia, egli comprende che l'eternità e il tempo non si elidono a vicenda: «L'eternità è un oggi cosciente di essere più che oggi».
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