mercoledì 9 febbraio 2022
Il Parini è ancora lì, uguale, piazzato nel cuore di Brera con la sua architettura del Ventennio. Non bello ma solido, le aule ampie, luminosi i lunghi corridoi con le porte allineate: IA, IIA, IIIA.
Non ci torno da allora. Ci passo davanti con un po' di timore: contiene, lo so, le facce e le voci dei miei compagni e la mia, a sedici anni. Lo so, le custodisce ancora.
I gradini di pietra del portone sono gli stessi su cui di corsa ci affacciavamo, ridenti, alla fine delle lezioni. E quanti sguardi adolescenti si incrociavano in quei momenti, quanti primi sogni.
Ripenso alle lunghe ore passate sui verbi greci e latini, a mandarli a memoria. Alcuni mi si sono fissati per sempre in mente: esto, esto, estote, sunto…, l'imperativo dell'essere.
E quanto sulle declinazioni, sui congiuntivi abbiamo studiato. Ora mi domando che ne è, di tanto tempo sui gerundi, e cosa rimane del nostro recitare futuri anteriori. Certo, una logica, una chiave di interpretazione del reale. Però adesso che quei sedicenni vanno in pensione, non è come se tacitamente ci dicessero: grazie, quell'avere studiato non serve più?
Evito, per quanto possibile, di passare accanto al mio liceo. Gli aleggiano intorno scalpiccii di passi, e corse giù dalle scale, e squilli di campanella. E quegli occhi che si cercavano, fra ragazzi e ragazze - noi, tutta la vita davanti.
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