sabato 23 aprile 2005
Sono nata dal dolore, sono fiorita tra cinque sacre ferite,/ sono cresciuta sull'albero dell'obbrobrio e nutrita dell'amaro vino delle lacrime,/ sono una rosa bianca in un calice pieno di sangue./ Vivo del dolore, ricevo forza dal dolore,/ sono uno splendore del dolore./ Vieni presso alla mia anima e consolati!
A parlare in questi versi è la Chiesa che si presenta come generata dalla morte di Cristo in croce («l'albero dell'obbrobrio»), fiorita dalle sue cinque piaghe e alimentata dalla sua sofferenza. Essa diventa, così, la madre di tutti i sofferenti. È facile pensare alle parole di Gesù quando si rivolgeva alla folla degli ultimi e dei miseri dicendo: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Matteo 11, 28). La Chiesa deve continuare questa missione di accoglienza e far sì che chi è in pena possa deporre il fardello del suo dolore e affidare le sue lacrime a qualcuno che partecipa al suo travaglio.A scrivere questi versi - che ci permettono di continuare a delineare il volto della Chiesa durante questi giorni così importanti per essa e per i suoi figli - è la scrittrice tedesca Gertrud von Le Fort (1876-1971), conterranea di Papa Benedetto XVI, una nobildonna calvinista divenuta cattolica proprio soggiornando a Roma . Sono alcune righe di uno dei suoi Inni alla Chiesa, composti nel 1924. È suggestiva l'immagine della Chiesa come una rosa bianca, immersa in un calice di sangue. Dovremmo far sì che le nostre comunità siano sempre luoghi ove è raccolto il soffrire dell'umanità per essere trasformato in speranza, in candore, in serenità. Il cristianesimo, che ha nel cuore del suo messaggio la sofferenza di un Dio, dovrebbe essere sempre un segno di dolore redento, di accoglienza e di pace per tutti coloro che hanno il cuore ferito e umiliato.
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