martedì 19 giugno 2007
Chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire. Questa considerazione, che fiorisce sotto la penna di un autore che siamo soliti immaginare triste e amareggiato, cioè Giacomo Leopardi (è un passo del suo Zibaldone), contiene una verità molto delicata, spesso pronta a travalicare in errore, quasi infrangendosi. Egli ripeteva la stessa idea in uno dei suoi Pensieri (il 78) ove ribadiva: «Grande
tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno si trova difeso da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco diversamente di chi è preparato a morire». Infatti, il vero riso non solo vede il lato positivo della realtà e ti aiuta a vivere anche nei contesti più ardui (noto è il detto secondo cui il ridere "fa buon sangue") ma ti aiuta pure a demolire le ipocrisie, facendo vedere che «il re è nudo», nonostante la propaganda dica il contrario. È per questo che l'ironia è segno di libertà e di intelligenza ed è ciò che manca tra i benpensanti gretti, tra i dittatori, tra i "lamentosi" sistematici. Detto questo, bisogna però ricordare che il vero ridere non deve mai sconfinare in sguaiatezza, l'ironia non deve precipitare nello sberleffo, la satira correre verso l'offesa cattiva, il linguaggio sarcastico trasformarsi in insulto truce. Aveva ragione il filosofo danese Kierkegaard quando osservava che il riso eccessivo o l'ironia esagerata è come «il fegato delle oche di Strasburgo (quello usato per il patè) che finisce per uccidere l'individuo». Cospargiamo, allora, la nostra giornata di sorriso, sorgente di libertà e serenità, custodendo però le nostre labbra dallo sghignazzare becero.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: