domenica 10 aprile 2005
La preghiera ci libera dall'egoismo e dalla solitudine, e ci apre al mistero della comunione con Dio e con gli altri. Pregare non è un'imposizione, è un dono; non è una costrizione, è una possibilità; non è un peso, è una gioia. La preghiera è il respiro dell'anima. Deve abbracciare tutto ciò che fa parte della nostra vita. Tutto deve trovare in essa la propria voce.
È accaduto anche a me due o tre volte di concelebrare all'alba con Giovanni Paolo II e altri sacerdoti nella sua cappella privata in Vaticano. E, come tutti, non potevo rimanere indenne di fronte all'intensità della sua partecipazione, alla temperie mistica della sua preghiera. Per oggi, giorno festivo, sono allora ricorso a queste sue righe sull'orazione e sulla sua vera identità. Pregare è un atto di libertà, di amore, di gioia, di intimità, di vita.Il Papa ricorreva in queste righe a un'immagine, quella del respiro. Si tratta di un simbolo costantemente usato nella spiritualità. Il filosofo danese ottocentesco Kierkegaard annotava nel suo diario: «Giustamente gli antichi dicevano che pregare è respirare. Qui si vede quanto sia sciocco parlare di un "perché". Perché io respiro? Perché altrimenti morrei. Così con la preghiera». È per questo che la nostra vita interiore è così delicata, fragile e asfittica: ci manca quel continuo e allenato respiro orante che dà energia alla nostra coscienza e alla stessa esistenza. Un famoso teologo, creato cardinale proprio da Giovanni Paolo II, Yves Congar, ci ammoniva: «Con la preghiera riceviamo l'ossigeno per respirare. Coi sacramenti ci nutriamo. Ma prima del nutrimento, c'è la respirazione e la respirazione è la preghiera».
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