giovedì 18 ottobre 2007
L'incontro di due personalità è come il contatto di due sostanze chimiche: si produce una reazione così che entrambe ne saranno trasformate.
L'immagine, certo, non è delle più felici, anche perché sembrerebbe avallare l'idea materialistica secondo la quale l'incontro tra due persone è sostanzialmente una questione fisica, ormonale, epidermica, al massimo con qualche implicazione psichica. Se però assumiamo la raffigurazione della reazione chimica solo come metafora, allora possiamo ribadire una verità profonda, come quella che certamente Carl Gustav Jung, il famoso esponente svizzero della psicoanalisi, voleva insegnare nella frase sopra citata. Tutti, infatti, dobbiamo confessare di aver incontrato nella vita persone che ci hanno intimamente segnato.
Non parlo soltanto di coloro che da quell'incontro sono usciti innamorati l'uno dell'altra, ma anche di ognuno di noi quando abbiamo avuto la strada dell'esistenza attraversata da una figura che ha lasciato in noi una traccia indelebile come amico oppure come testimone e, perché no?, anche come nemico o cattivo compagno. Da ogni incontro, che non sia meramente convenzionale, non si esce del tutto indenni, ma con una scia nell'anima e, in qualche caso, trasformati. È un po' anche questa la parabola della fede, come appare nei Vangeli (oggi ricordiamo san Luca): sulle vie di persone misere o assorbite nei loro affari passa Cristo, ed ecco che la loro storia muta (un esempio per tutti, desunto proprio dal terzo vangelo, è quello di Zaccheo). L'importante è, però, non alzare uno schermo o lasciarsi avvolgere dalla nebbia della distrazione.
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