venerdì 11 ottobre 2002
Curioso come a questo mondo vi sia poca gente che si rassegni a perdite piccole; sono le grandi che inducono immediatamente alla grande rassegnazione. Trovo questa riflessione sfogliando un romanzo letto decine d'anni fa, La coscienza di Zeno di Italo Svevo (1861-1928), e mi viene spontaneo raccordarla a un'altra e analoga considerazione dei Promessi Sposi di Manzoni: «Noi uomini in generale siamo fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi». Ed effettivamente tutti abbiamo esempi da portare a questo riguardo: da un lato, persone che hanno subìto tempeste terribili nella loro vita e che permangono capaci di stare zitte, di continuare a vivere e sperare; e d'altro lato, persone che, di fronte a un modesto contrattempo o a "perdite piccole", non si rassegnano, imprecano, sentono di essere vittime di non si sa quale ingiustizia cosmica. Sì, la rassegnazione è più ardua da praticare nei contrasti minori, così come è più difficile essere costanti nella quotidianità che non in occasione di un unico evento di grande rilievo. Per questo la virtù cristiana della pazienza è un'attitudine da conquistare con un lungo esercizio perché essa richiede continuità nelle piccole avversità. San Francesco nei suoi Fioretti giustamente la considerava «opera di perfezione e prova di virtù». E con acutezza Leopardi nel suo Zibaldone spiegava che «la pazienza è la più eroica delle virtù giusto perché non ha nessuna apparenza d'eroico». Ecco, allora, l'invito a praticare maggiormente la rassegnazione nelle "perdite piccole".
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