Quattro chiacchiere sul Paradiso tra i redattori di un sito cattolico
mercoledì 5 luglio 2023
Ho letto con curiosità, su “Aleteia” del 2 luglio (bit.ly/3CZGOLO), l’ultimo post di Cerith Gardiner. L’autrice vi racconta un aspetto particolare dello «scrivere per i media cattolici» (esperienza che mi è abbastanza familiare), e cioè quelle conversazioni con i colleghi che «fanno guardare alla propria fede sotto una luce completamente nuova, o rafforzare le proprie idee su un certo argomento», in questo caso il Paradiso. «Le nostre case celesti sono tutte uguali?», si chiede la Gardiner. «Rispecchiano ciò che è importante per noi in questa vita?». Segue una carrellata di opinioni delle firme abituali della versione anglofona di questo grande sito di contenuti cristiani (13 milioni dichiarati di visitatori unici al mese). Comincia l’autrice stessa: per lei il Paradiso è «la famiglia: un luogo dove poter vedere i miei cari ogni volta che voglio. Niente più fardelli ma solo momenti di amore». Anche Kathleeen Hattrup e Joanne McPortland associano la vita eterna a immagini di famiglia: «Mi piace pensare che, essendo fuori dal tempo, potremmo in qualche modo rivivere certi momenti preziosi... come cullare il proprio figlio per farlo addormentare» scrive la prima. «Una grande tavola di famiglia, e tutti sono una famiglia», le fa eco la seconda. Più articolata la visione di J.P. Mauro: «Non lo immagino come un luogo, ma come una sensazione. Mi aspetto che rimanga poco o niente della nostra personalità o della nostra coscienza, poiché lo spirito si lascia alle spalle il cervello». «Comunione di menti e anime, sentirsi amati, riconosciuti e accolti, amando e gioendo della bellezza di ogni persona», aggiunge Matthew Green. Caroline Fischer immagina «una bellezza maestosa e una felicità totale e pura». E infine John Touhey, che ama il cinema, spera «di cantare e ballare» con tutti i suoi cari e i suoi peggiori nemici, «e san Pietro e tutti i santi e gli angeli, in un numero straordinario coreografato spontaneamente da Dio ed eseguito in Technicolor all'infinito». È chiaramente un gioco, quattro chiacchiere divertite di un gruppo di colleghi-credenti durante la pausa pranzo. Ne avrei letto volentieri l’equivalente sull’edizione italiana, avendo apprezzato spesso la cultura religiosa e la sensibilità umana dei suoi redattori. Peccato che dal 28 febbraio l’editore, come è noto, l’abbia chiusa. © riproduzione riservata
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