martedì 17 dicembre 2013
​Milano, dicembre. Ieri camminavo per strada accanto a mia figlia di sedici anni. Attraversando di corsa in mezzo al traffico, per un attimo ci siamo prese per mano – la sua, ormai all'altezza della mia. Come si parano davanti improvvisi certi ricordi: mi sale in un attimo alla memoria l'immagine di Caterina che mi arrivava alle ginocchia, mentre io mi chinavo ad afferrare la mano, piccola, che lei allungava in alto, verso di me.Attraverso le mani delle madri e dei padri e dei figli passa una lunga storia. Che comincia nelle prime ore di vita, quando il neonato stringe forte il dito che gli sfiora la mano. Un riflesso, certo, ti spiegano. Ma quanto istinto di vita c'è, in quella prima indimenticabile stretta. E quando a stento, a un anno e mezzo, i bambini si reggono in piedi, ma orgogliosi sfilano la mano dalla tua? («Io sono grande ormai», annunciano fieri, un istante prima di volare per terra). E quelle gite in montagna, d'estate, su sentieri erti, quando gli davi la mano a sostenerli in un passo troppo lungo? Dopo un istante di esitazione, saltavano; poi più certi ti camminavano davanti, veloci, sui loro passi ormai agili.Fra poco mia figlia prenderà per mano qualcuno, uno sconosciuto ragazzo; e sarà una storia nuova, e così lontani i ricordi di quando stava quasi appesa alla mia mano.Ma alla parola "mano" altri ricordi premono e si affollano, questuanti ansiosi di non essere risospinti nel buio. Su tutti, quello di una mattina in una stanza d'ospedale. Ero arrivata per prima. C'ero soltanto io, e mio padre pareva dormisse. D'istinto gli ho preso la mano. L'ho sentita assurdamente, irrealmente fredda. Quel freddo mi ha folgorato. Dalla mia mano alla sua, ho avvertito fisicamente la morte.Ma so che, quando sarò vecchia, le mie mani passeranno per un altro pezzo di storia. Come quello che ho visto una mattina, tra la folla, mesi fa, a Roma, in piazza San Pietro gremita. C'era un uomo alto e grande e grosso, con mani come badili; che teneva nella sua mano quella di una vecchia rattrappita dagli anni. L'uomo teneva quella mano fragile con delicatezza, quasi temendo di farle inavvertitamente male. Come un bambino tiene fra le mani una farfalla, piano, senza serrare le dita.Quei due si avviavano verso viale della Conciliazione, adagio. Nell'aria tersa d'autunno mi immaginavo quelle mani, cinquant'anni prima. «Io sono grande ormai», e subito quel tonfo, e la mano della madre a rialzare.C'è una storia che le nostre mani raccontano, a saperla ascoltare.
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