martedì 4 febbraio 2003
Un rabbí era solito domandare al suo discepolo: «Quand'è che termina la notte
e inizia il giorno?». Il discepolo dava diverse risposte, mai però soddisfacenti. Alla fine, scoraggiato, si rimise al maestro per la risposta. E il rabbí gli disse: «Quando tu vedi sul volto di un altro il volto di tuo fratello, è allora che termina la notte e inizia il giorno». È finissimo questo apologo della tradizione giudaica: esso ci fa comprendere come tutte le religioni nella loro autenticità si annodino attorno al filo d'oro dell'amore. Anche nella spiritualità tibetana si evoca la paura di chi da lontano vede avanzare una figura che scambia per una bestia, poi la intuisce come un'altra persona, ma non per questo ha il cuore in pace perché potrebbe essere un assalitore. Solo quando la si ha di fronte e le si guarda il volto, allora si scopre che è un fratello! Bisognerebbe guardarci più spesso negli occhi, fermarci e ascoltare prima di reagire, impedire che il buio della paura o del furore ci ottenebri cuore e mente. È un esercizio faticoso certamente, che comprende anche insuccessi perché nessuna creatura è perfetta, né io né l'altro. Ma tutti abbiamo un fondo di umanità, in ciascuno di noi - magari sotto coltri di falsità e di deformazioni - si stampa "l'immagine e la somiglianza" di Dio. Il mondo perde un po' della sua notte e acquista maggiormente la luce del sole, ogni volta che le persone riescono ad accettarsi l'un l'altro, coi loro splendori e le loro miserie. E questo è possibile solo se ci si incontra e ci si guarda in profondità nell'anima.
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