venerdì 24 ottobre 2003
Non vivere su questa terra come un estraneo o come un turista nella natura. Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre: credi al grano, alla terra, al mare, ma prima di tutto credi all'uomo. Ama le nuvole, le macchine, i libri, ma prima di tutto ama l'uomo. Senti la tristezza del ramo che secca, dell'astro che si spegne, dell'animale ferito che rantola, ma prima di tutto senti la tristezza e il dolore dell'uomo. S'intitola Ultime lettere al figlio ed è il testamento che il poeta turco Nazim Hikmet (1902-1963) indirizza alle giovani generazioni. L'autore alle spalle aveva un'esistenza molto travagliata, condannato nel 1938 a 28 anni di carcere per la sua opposizione al regime di Kemal Atatürk, il padre della Turchia moderna, e riparato nel 1950 in Unione Sovietica ove morirà come esule. Le sue sono parole e immagini molto trasparenti, ritmate da quella frase fondamentale: «Prima di tutto l'uomo». Una lezione sempre necessaria perché, se è vero che è affascinante la natura, stupenda la cultura, drammatica la morte, ben più alta è l'esperienza dell'umanità. Purtroppo non di rado accade che ci si commuova di più per un animale ferito che non per un uomo ucciso in guerra. Bisogna amare tutto il creato, ma saper conservare una scala di valori e di impegni. In questa luce ci sembra utile riproporre un passo del filosofo Kant che abbiamo già avuto occasione di citare: «Agisci in modo da trattare l'umanità, così nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre come un fine e mai semplicemente come un mezzo». È una lezione umana radicale, che è elevata a livelli ancor più alti nell'impegno cristiano dell'amore.
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