domenica 20 aprile 2003
Ho un Amico che visito in solitudine. È presente anche quando non lo coglie lo sguardo. Le sue parole non hanno vocali né eloquio, in nulla assomigliano alla melodia della voce, eppure sono efficaci e infiammate" Egli è presente e assente, vicino e lontano. La coscienza è vicina al mio io, Lui lo è di più. La scintilla dei pensieri segreti è nascosta in me, Lui lo è di più. C'è stato un teologo che ha definito la presenza pasquale del Cristo risorto in mezzo a noi come una "presenza assente". Egli è con noi, nella storia e nell'essere, ma non lo è in modo visibile e udibile a livello immediato.
L'esperienza che la fede ci fa vivere è, quindi, sorprendente e in questo giorno così tipicamente cristiano ho voluto esprimerla e descriverla con un'intensa testimonianza mistica musulmana. L'Islam, che nega radicalmente l'incarnazione di Dio considerandola come blasfema
per la
sua purissima e perfetta trascendenza, ha però sentito la necessità, nelle sue correnti mistiche, di celebrare la vicinanza divina. Si legge nel Corano: «Dio è più vicino a te di quanto lo sia la Tua grande vena cava», cioè l'aorta o la
carotide che, se tranciata, ti porta a morte quasi istantanea. Oggi, nella stessa linea, ho proposto alcune righe di un grande mistico di origine persiana, al Hallaj (848-922), carcerato e poi crocifisso a Baghdad. Dal suo Diwan ho tratto questa professione d'amore per l'Amico, cioè Dio, che è presente anche se non lo si tocca, parla anche tacendo, ti è vicino pur essendo lontano, anzi, ti è intimo più di quanto tu lo sia a te stesso. San Paolo confessava: «Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Galati 2, 20).
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